Trauma vertebro-midollare

IL TRAUMA VERTEBRO-MIDOLLARE: GESTIONE PREOSPEDALIERA
VALUTAZIONE PRIMARIA DELLE LESIONI: PRIORITA’. CASI CLINICI.

M.Raimondi, D.Cordero*, A.Comelli, G.Maggio, M.Guerci, G.Pamploni, I.Sforzini, A.Brancaglione, R.Rizzardi, S.Poma,.
Centrale Operativa S.S.U.Em. 118 Pavia e Provincia,  I.R.C.C.S. Policlinico S.Matteo, Pavia
*  ASL 5 Regione Piemonte, Presidio Ospedaliero di Rivoli (Torino), U.O.C. di Anestesia e Rianimazione. Servizio Regionale Piemontese di Elisoccorso

RIASSUNTO
Le lesioni vertebro-midollari sono discretamente frequenti in ambito traumatologico. La gestione preospedaliera riveste grande importanza, soprattutto in relazione ad una rapida individuazione dei casi sospetti, ed un pronto trattamento. In particolare, nelle prime fasi in ambito preospedaliero, è possibile sottovalutare le lesioni; il trattamento, soprattutto orientato ad evitare il danno secondario, in fase preospedaliera si basa sull’ABCD-E e sulla stabilizzazione respiratoria ed emodinamica. Il meccanismo di lesione e la valutazione della scena, oltre alla clinica, possono indicare nei casi sospetti la necessità di immobilizzazione ed eventualmente la centralizzazione verso un centro specializzato. La gestione dei pazienti pediatrici deve tenere conto delle differenze anatomiche e della maggiore possibilità di lesioni midollari senza lesioni ossee.

Introduzione
Le lesioni del rachide sono un evento molto frequente in ambito traumatologico; secondo alcune casistiche ogni 1500 eventi traumatici vi è un traumatizzato con lesioni del midollo spinale. Purtroppo oltre il 25% dei danni permanenti al midollo spinale sono dimostrati essere causati dai soccorritori durante la fase extraospedaliera, ma anche da coloro che trattano il traumatizzato durante la fase intraospedaliera. Una maggiore attenzione al problema del rachide durante le prime fasi del trattamento del traumatizzato è quindi reputata indispensabile: in alcuni programmi sperimentali negli USA, una sensibilizzazione del personale addetto al soccorso ed un miglioramento delle tecniche di mobilizzazione associate ad un adeguato addestramento hanno ridotto drasticamente, dal 70% fino al 33%, le lesioni permanenti e le sequele neurologiche.

Il costo umano e sociale di tale lesione è enorme (ogni anno un tetraplegico costa circa 800.000 €), anche per la carenza di strutture adeguate nel nostro Paese.

Per quanto attiene alla fase preospedaliera, uno dei fattori più importanti è relativo al meccanismo di lesione: infatti, questo dato è talvolta l’unico che può far sospettare la presenza di una lesione vertebrale, soprattutto in assenza di segni o sintomi, o quando questi possono essere difficilmente rilevabili (paziente sedato e curarizzato o sotto l’influsso di alcool o droghe). Il meccanismo di lesione e la dinamica dell’evento sono quindi da rilevare con attenzione (e se possibile documentare!), collegando gli elementi osservati con la dinamica presunta, e soprattutto devono essere riferiti all’interno del DEA. Infatti, non è raro che un paziente venga sottovalutato all’interno dell’ospedale, soprattutto in assenza di segni e sintomi, di solito per carenza di cognizione del meccanismo di lesione: se invece viene mostrata un’immagine fotografica dei veicoli coinvolti o del luogo dell’evento (altezza di caduta etc.), il livello di attenzione e l’approfondimento delle indagini divengono molto maggiori, evitando pericolosi errori. Quindi il primo compito del personale preospedaliero è quello di valutare attentamente la scena e la dinamica dell’evento, e soprattutto riferirli al DEA.

La valutazione iniziale del paziente può portare ad un sospetto di lesione vertebro-midollare; quando sono presenti segni eclatanti, già la valutazione primaria può essere dirimente. Spesso però, per poter completare il quadro clinico, è necessaria una più approfondita valutazione secondaria che esplori i singoli segmenti corporei per poter ipotizzare un livello di lesione. Questo dato non è privo di risvolti anche logistici, in quanto tanto è più alto il livello di lesione, tanto più è probabile dover centralizzare il paziente verso un centro specialistico. Naturalmente, in fase preospedaliera non è possibile effettuare nessun accertamento strumentale, e quindi è solo l’esame clinico (quando il paziente non è curarizzato), che può fornire informazioni sulle possibili lesioni.

Per quanto attiene all’esame obiettivo, deve essere ricordato che spesso i segni e sintomi non sono evidenti in fase iniziale, ma solo con il passare del tempo si possono rilevare, anche in relazione al progredire dell’edema ed alla slatentizzazione delle lesione causata dal danno secondario: quindi la valutazione deve essere ripetuta più volte, quando il meccanismo di lesione è suggestivo per lesione vertebro-midollare.

Talvolta anche in presenza di lesioni conclamate fin dall’inizio, una osservazione non attenta dei movimenti del paziente può erroneamente far sospettare un livello di lesione differente dal reale, o addirittura l’assenza di lesione. È il caso di lesioni cervicali che interessino un livello di C4-C6, ove rimangono conservati i movimenti dei gruppi muscolari che sovrintendono all’abduzione ed estensione degli arti superiori, ma non alla flessione: una osservazione superficiale del paziente spesso porta a segnalare “movimenti” degli arti superiori, escludendo quindi una lesione cervicale, che in realtà è presente.

Tra gli indicatori di sospetto di lesione al rachide sono particolarmente importanti il tipo d’evento, il meccanismo di lesione, i segni e i sintomi di lesione.
Una lesione alla colonna va sospettata in fase preospedaliera analizzando la dinamica dell’evento e lo scambio di energia.
In particolare, anche in assenza di segni o sintomi, si deve sospettare una lesione del rachide in caso di:

  • trauma cranico con o senza alterazioni dello stato di coscienza;
  • trauma al di sopra del piano delle spalle;
  • particolari meccanismi di lesione quali quelli correlati alle cadute dall’alto, agli incidenti stradali, agli incidenti da tuffo, ecc.;
  • tutti i pazienti traumatizzati con intossicazione da alcool o droga.

Molto significativi di danno alla colonna sono sintomi quali:

  • dolore al collo o alla schiena (evocato o spontaneo)
  • formicolii, intorpidimento, ecc.
  • diminuzione di sensibilità o motilità agli arti;
  • evidenti deformità della colonna.

L’assenza di segni o sintomi non esclude la lesione. Un traumatizzato che cammina non esclude un danno alla colonna.
Solo un accurato e completo esame radiologico ospedaliero può escludere una lesione al rachide, in presenza di fattori di rischio e sospetto.
In alcune casistiche, il dolore al rachide MANCA COMPLETAMENTE nel 27% dei casi !!

Infatti, alcune casistiche hanno dimostrato che oltre il 20% degli infortunati nei quali è stata successivamente riscontrata una lesione di colonna meritevole di trattamento chirurgico, sono stati trovati che “gironzolavano” sul luogo dell’incidente o all’interno dell’ospedale.
Naturalmente, il danno neurologico può essere primario o secondario a ipossia, ipotensione o ischemia, dovuti ad alterazioni sia sistemiche che locali. Da ciò se ne deduce che l’assistenza respiratoria ed emodinamica codificata nell’ABCD-E diviene indispensabile per limitare il danno secondario. Ricordiamo anche che disturbi circolatori locali mielici (compressione vascolare, edema etc.) sono naturalmente esacerbati da problemi sistemici emodinamici e respiratori.
L’obiettivo del miglior trattamento della colonna in ambito extraospedaliero, è quello di stabilizzare le lesioni già esistenti o presunte e di prevenire il danno midollare secondario.

Immobilizzazione
Dal momento che in fase preospedaliera non si può avere la certezza del livello dell’eventuale lesione della colonna, questa andrà immobilizzata in toto secondo il principio per cui per immobilizzare correttamente un segmento osseo fratturato deve essere immobilizzata l’articolazione precedente e quella successiva: poiché la colonna si articola anche con il capo ed il bacino, anche questi ultimi devono essere immobilizzati. Per immobilizzare correttamente il bacino, non devono essere mossi gli arti inferiori: in definitiva, per immobilizzare la colonna deve essere immobilizzato in toto il paziente, dalla testa ai piedi !
L’utilizzo del collare cervicale in fase preospedaliera trova conferme in letteratura, anche se non vi sono studi recenti “based evidence” relativi. È razionale utilizzare una immobilizzazione manuale del rachide per mettere in atto le manovre salvavita, e solo successivamente posizionare il collare cervicale. Peraltro, vi sono lavori che indicano una influenza negativa dei collari cervicali sulla pressione intracranica. È noto che la pressione intracranica è raramente elevata nelle primissime fasi dopo il trauma, ma il fatto non è da sottovalutare. In particolare, le Linee Guida ILCOR 2005 suggeriscono una immobilizzazione manuale del rachide durante RCP nel paziente traumatizzato, proprio per ridurre l’influenza negativa del collare cervicale sulla pressione intracranica. Viene quindi anche suggerito, nei pazienti critici, di fare largo utilizzo dell’intubazione, sedazione e curarizzazione, anche la fine di mantenere immobile il rachide, potendo in questo caso anche rimuovere il collare cervicale utilizzando altri sistemi (fermacapo e tavola spinale) con il paziente curarizzato. Tutti i movimenti devono essere effettuati da un numero di soccorritori sufficiente (almeno 4), con tecniche di log-roll e mobilizzazione manuale. La tavola spinale, considerata ottimale per l’estricazione e per l’immobilizzazione durante il trasporto primario, dovrebbe essere rimossa appena possibile, per ridurre il rischio di lesioni da decubito, mantenendo però l’assoluta immobilizzazione del rachide in toto fino al completamento delle indagini radiologiche. Quindi, a livello pratico, è opportuno escludere radiologicamente quanto prima lesioni vertebrali per poter rimuovere la tavola spinale: è possibile anche posizionare dei sottili gel-pad sulla tavola, per ridurre i rischi di decubito, ma difficilmente questo è fattibile in fase preospedaliera.

Ac-Vie aeree e rachide
Dell’immobilizzazione del rachide si è già detto. Per quanto riguarda la gestione delle vie aeree, solitamente anche nelle lesioni alte sono mantenuti i rilessi faringei, se non sono associate altre lesioni. Peraltro, nelle lesioni molto alte, può subentrare un arresto respiratorio immediato, che, quando giungono i soccorritori, ha già portato al coma e talvolta all’arresto cardiaco.
Nella maggior parte dei casi, invece, l’intubazione si rende necessaria per insufficienza ventilatoria meccanica o per lesioni associate (trauma cranico, trauma toracico, shock emorragico etc.). Raramente, una dislocazione delle vertebre cervicali può causare un’ostruzione delle vie aeree ed una dislocazione della glottide, con una grave difficoltà a visualizzare le corde vocali durante l’intubazione. La manovra di intubazione tracheale deve essere effettuata con tutte le precauzioni per immobilizzare il rachide cervicale, e talvolta si devono utilizzare presidi o tecniche particolari per limitare i movimenti del rachide durante la gestione delle vie aeree. L’apertura del collare e l’immobilizzazione manuale del rachide si impone durante la manovra. In letteratura sono suggerite varie tecniche per ridurre i movimenti del rachide cervicale durante l’intubazione, ma le raccomandazioni più importanti sono relative all’utilizzo della via orotracheale e di mandrini semirigidi e guide di vario genere. Come già accennato, talvolta l’intubazione tracheale con sedazione e curarizzazione sono un metodo efficace per immobilizzare il paziente critico. Le linee guida ILCOR 2005 saggiamente indicano peraltro che nel caso in cui non si riesca a rendere pervie le vie aeree, è giustificato anche un cauto movimento del rachide, il minimo possibile per riuscire a risolvere il problema.

B-Ventilazione
Il primo problema che può porre una lesione mielica, è legato alla ventilazione. A seconda del livello di lesione, avremo una paralisi di gruppi muscolari che collaborano a garantire una ventilazione (effetto mantice) adeguata. Solitamente nelle primissime fasi le alterazioni sono assenti o poco evidenti, e devono essere accuratamente ricercate. Infatti, in prima istanza i gruppi muscolari non paralizzati possono sopperire e garantire una ventilazione sufficiente: quando però si esauriscono, subentra una insufficienza meccanica ventilatoria. Un’altro motivo per cui in prima fase può non essere così evidente il deficit respiratorio, può essere dato dal fatto che la lesione “procede” verso l’alto e verso il basso in senso metamerico a causa dell’edema perilesionale o del danno secondario (ipossia-ipotensione-ipoperfusione) che si instaura successivamente. Infatti, una lesione ad esempio a livello del metamero di C5, in breve può interessare come segni neurologici anche un livello di C4 o C3, proprio per l’estendersi dell’edema o della lesione ischemica. Di fatto però la discinesia respiratoria e la paralisi dei gruppi muscolari è già visibile ……. se la si ricerca accuratamente! Una lesione mielica cervicale bassa (C5-C6) interesserà i muscoli intercostali e della gabbia toracica, risparmiando il nervo frenico, che notoriamente emerge a livello di C3-C5; ne risulterà un respiro addominale, con discinesia toraco-addominale (espansione dell’addome ed abbassamento del torace in inspirazione, viceversa in espirazione).  Se sussistono lesioni cervicali alte o medie, anche il diaframma risulta paralizzato, quando coinvolti i segmenti da C3 a C5, che innervano il diaframma attraverso il nervo frenico, con ulteriore grave insufficienza respiratoria.
Lesioni vertebrali toraciche si associano spesso a lesioni della gabbia toracica e del parenchima, con trauma toracico (PNX, emotorace, contusioni etc.) che non deve essere sottovalutato; da ricordare l’elevata frequenza di lesioni pleuroparenchimali associate a traumi vertebrali toracici. Una ventilazione meccanica con respiratore da trasporto risulta essere il modo ottimale di ventilazione durante l’assistenza al politraumatizzato intubato in fase preospedaliera.

C- circolo e shock
Lo shock neurogeno o midollare si ha a seguito della lesione totale o parziale del midollo spinale, sopratutto nella sua parte che “governa” il sistema simpatico. Il sistema simpatico sovraintende alla vasocostrizione e quindi la sua compromissione porta ad una massiva vasodilatazione del territorio innervato, o meglio del territorio non più innervato da parte del simpatico. Il risultato è uno stoccaggio di sangue in periferia, una caduta delle resistenze periferiche, e quindi una ipotensione anche in presenza di normovolemia, per perdita del “contenente” piuttosto che una perdita del “contenuto”. Un secondo effetto è dovuto alla perdita del tono simpatico cardiaco, e quindi un’assenza di risposta “in tachicardia” come meccanismo di compenso all’ipotensione, prevalendo il solo effetto del nervo vago. Ne consegue che il quadro clinico dello shock midollare è caratterizzato da ipotensione con bradicardia, e cute calda e perfusa, anche in presenza di shock. La pressione diastolica è bassa, con un aumento della pressione differenziale, a manifestazione dell’assenza di meccanismi di compenso.
Naturalmente la gravità del quadro dipende dal livello di lesione: tanto più è alto, tanta più parte del sistema simpatico sarà coinvolta e quindi tanto più grave sarà il quadro emodinamico. La compromissione può anche essere transitoria, configurandosi come shock spinale: esso è fondamentalmente uno “stupor” del midollo, che quindi solitamente ritorna, dopo un certo periodo, alla normale funzionalità, anche vegetativa.
Uno shock emorragico può naturalmente coesistere con lo shock midollare e spinale. L’assenza di sensibilità e motilità dell’addome può rendere ingannevole la valutazione palpatoria dell’addome stesso, dovendo quindi sempre supporre una lesione intraddominale fino a prova contraria. In caso di ipotensione, deve essere sempre presa in considerazione la possibilità di una emorragia in atto, anche perchè l’assenza della risposta simpatica allo shock rende difficile rilevare i segni classici, che sono perlappunto assenti (vasocostrizione, tachicardia, diminuzione della pressione differenziale, pallore, sudorazione etc.). Un bolo standard di 2000 ml di cristalloidi è quindi prudenzialmente indicato, anche per controbattere meglio l’ipotensione da vasoplegia. Naturalmente tutte queste problematiche sono molto evidenti nelle lesioni cervicali, e divengono quasi inapparenti nelle lesioni basse (toraciche e lombari). La disponibilità di ecografia preospedaliera diviene in questi casi ancor più importante. In presenza di ipotensione e bradicardia  deve essere considerata la possibilità di lesione midollare, soprattutto nel paziente in coma, e quindi anche l’uso dei vasopressori, in particolare dei vasocostrittori, diviene indicata (dopamina e noradrenalina).
Si è molto discusso sull’utilizzo del Metilprednisolone, in quanto numerosi lavori ne mettono in dubbio l’utilità. In fase extraospedaliera può essere razionale attendere e demandare ai protocolli intraospedalieri.

Età pediatrica
In ambito pediatrico le lesioni vertebro-midollari sono fortunatamente più rare, anche in virtù della maggiore elasticità osseo-legamentosa. Ma proprio per questo motivo, vi è una maggiore presenza di lesioni midollari senza lesioni ossee (SCIWORA), nella cui genesi anche i meccanismi legati al danno secondario hanno una grande rilevanza. Le tecniche di immobilizzazione devono tenere conto delle differenze anatomiche (maggior dimensione relativa del cranio, posizione neutra etc.), della difficoltà al posizionamento del collare (utilizzo di immobilizzazione manuale), della componente psicologica in caso di pazienti coscienti, con valutazione del ricorso alla sedazione, curarizzazione e intubazione per una corretta gestione globale. Spesso i materiali utilizzati per l’immobilizzazione non sono dedicati alla taglia pediatrica, ma derivano da un adattamento di materiali studiati per adulti, e questo non facilita la gestione preospedaliera.

CONCLUSIONI
In conclusione, le lesioni midollari ed il sospetto delle stesse devono ricevere un’accurata valutazione e trattamento, considerando che in fase preospedaliera molto spesso ci limitiamo ad una corretta immobilizzazione e ad un trattamento sintomatico dell’ABCD-E primario, ma non dobbiamo dimenticare di effettuare anche una valutazione secondaria precisa, per poter identificare la possibilità di lesioni midollari che possono necessitare di un invio mirato all’ospedale adeguato. Un’accurata valutazione iniziale consente anche di poter apprezzare la possibile evolutività delle lesioni, e quindi deve essere assolutamente annotata sulla documentazione cartacea che seguirà il paziente nel suo iter dal territorio all’ospedale di prima accoglienza, fino al trattamento definitivo. La valutazione del meccanismo di lesione e della scena è molto importante nel elaborazione dell’indice di sospetto relativo alle lesioni vertebrali. La funzionalità respiratoria, che spesso nelle primissime fasi può sembrare adeguata, frequentemente scade rapidamente anche durante il trasporto primario: un controllo clinico costante si impone in tutti i pazienti politraumatizzati. Infine, la destinazione del paziente risente notevolmente della valutazione effettuata sul territorio.

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