Trauma cranico e lesioni associate sulla scena e in itinere

Dr. Davide Cordero

A.S.L. 5 – Regione Piemonte
Ospedali Riuniti –
Presidio Ospedaliero di Rivoli (To)
U.O.C. Anestesia Rianimazione
Servizio Regionale di   Elisoccorso
“Piemonte Elisoccorso”


1.   Introduzione

La maggior parte dei decessi “evitabili” dopo trauma cranico si verifica negli ospedali cosiddetti “periferici” e non nei grandi centri di Neurochirurgia.

Le cause sono riferibili, tuttora, a due tipi di errori di gestione dei pazienti: 1.assistenza inadeguata nelle prime ore dal trauma, in particolare sul luogo dell’incidente e durante il trasporto al primo ospedale vicino per ambito territoriale, 2.tardivo riconoscimento del deterioramento clinico in un paziente erroneamente giudicato a basso rischio di complicanze.

A sostegno di tale affermazione, infatti, un gran numero di traumi cranici, di cui, oltre il 90% rappresentato dai cosiddetti “minori”, è ricoverato ogni anno negli ospedali di ogni livello assistenziale (circa 250 casi ogni 100.000 abitanti per anno), raramente, quindi, in quelli dotati di Neurochirurgia.

Il trauma cranico minore è frequentemente rappresentato da quadri clinici in cui, dopo una breve perdita di coscienza, il paziente si riprende pienamente e risponde in modo congruo, o talora confuso, alle domande; il 2-3% va, tuttavia, incontro ad un deterioramento clinico e richiede un trattamento specialistico neurochirurgico.

La capacità di identificare precocemente questi casi, ne ha ampiamente migliorato la prognosi, molto più di quanto si sia potuto ottenere dal perfezionamento della terapia nei pazienti ricoverati direttamente nei centri specialistici. Il miglioramento prognostico è stato inoltre associato ad un lavoro efficace di prevenzione del trauma cranico che richiede uno studio epidemiologico accurato e costante sulla incidenza e sulle cause del trauma cranico nell’area di ricerca.

Ulteriori, importanti effetti positivi sulla prognosi sono stati indotti dall’implementazione del soccorso medicalizzato con la stabilizzazione clinica sul luogo dell’incidente, il trasporto assistito e la centralizzazione dei traumi gravi.

1.   Epidemiologia

Nei paesi cosiddetti evoluti, il trauma rappresenta, secondo numerose fonti, il maggior killer nell’ambito della popolazione giovane e produttiva. L’evidenza di tale affermazione è particolarmente appariscente negli Stati Uniti, dove la possibilità di morire per trauma nei giovani adulti è del 50% più elevata rispetto agli abitanti degli altri paesi industrializzati, soprattutto a causa di lesioni d’arma da fuoco, e comporta esorbitanti costi umani, sociali ed economici derivanti dalla perdita temporanea o definitiva di persone in età produttiva, dall’entità delle cure e dell’assistenza ai reliquati post-traumatici.

Le morti da trauma seguono un classico modello trimodale caratterizzato da tre picchi, rappresentanti i decessi immediati, precoci e tardivi.

Le morti immediate si verificano entro pochi istanti dall’evento traumatico e sono secondarie a gravissimi danni a livello cranico, spinale, cardiaco o aortico, e non sono clinicamente prevenibili; l’unica prevenzione possibile consiste nell’adozione di provvedimenti e regolamenti che implementino la sicurezza sulle strade e sul lavoro e sanzionino pesantemente i comportamenti scorretti.

Le morti precoci si manifestano entro due ore dall’evento e sono conseguenti ad ematoma epi-subdurale, emo-pneumotorace, rotture di organi parenchimatosi, emorragie gravi e sono prevenibili mediante un intervento sanitario tempestivo e corretto. Questo ambito temporale è definito “periodo o ora d’oro”.

Le morti tardive si verificano dopo giorni o settimane e sono conseguenti a insufficienza multiorganica e sepsi: un corretto e rapido trattamento dello shock e dell’ipossiemia durante il periodo d’oro può ridurre considerevolmente queste morti.

Le lesioni cerebrali sono molto frequenti nel politraumatizzato e sono responsabili di oltre il 60% dei decessi da trauma per incidenti della strada: costituiscono la principale causa o concausa sia delle “morti immediate” che di quelle “precoci”; spesso, intervengono nel determinismo della “morte tardiva”.

Le statistiche indicano negli incidenti stradali la causa principale di lesione cerebrale traumatica nei pazienti di età inferiore a 65 anni; al di sopra di tale limite, predominano invece le cadute accidentali. Il tipico “prototipo epidemiologico” della vittima di un politrauma con trauma cranico grave, è rappresentato da giovani adulti, coinvolti in incidenti stradali, spesso in associazione ad abuso o intossicazione da farmaci, alcolici e stupefacenti: il mix “sesso maschile – giovane età – abuso di alcoolici e stupefacenti” rappresenta, pertanto, una miscela esplosiva.

Nelle aree urbane, ed in modo estremamente accentuato negli Stati Uniti, risultano aumentate in modo esponenziale le ferite d’arma da fuoco alla regione craniale: la mortalità, in questi casi, è decisamente elevata, superiore al 60%.

Sempre negli Stati Uniti, tra i numerosi ricoveri ospedalieri per trauma cranico, circa un terzo presenta lesioni cerebrali di varia entità: di questi il 10% muore o prima di raggiungere l’ospedale o immediatamente dopo il ricovero. Tra i sopravvissuti a questo primo periodo, l’80% presenta quadri minori con mortalità del 10%, mentre nel restante 20% si riscontrano lesioni da moderate a gravi e mortalità del 30% per quelle moderate. Le sequele neurologiche definitive sono superiori al 50% con deficit permanenti di varia gravità.

All’arrivo sulla scena, il paziente può essere cosciente, amnesico in modo più o meno completo, oppure incosciente. Talora manifesta agitazione o può diventare agitato successivamente, nel corso del trattamento o del trasporto, complicando l’azione di soccorso. E’ importante, soprattutto in questi casi, essendo il livello di collaborazione del paziente scarso o nullo, raccogliere notizie dai testimoni e valutare correttamente lo scenario al fine di ottenere tutte le informazioni necessarie ad una corretta interpretazione della dinamica dell’evento.

La presunta velocità di impatto del veicolo, la modalità di caduta e di impatto sul terreno del soggetto, i danni causati sulle strutture circostanti dall’urto della testa, in particolare parabrezza, cruscotto, altre parti fisse del veicolo, altri occupanti non protetti dalle cinture di sicurezza, sono elementi che concorrono ad alimentare un elevato indice di sospetto in relazione alla gravità delle lesioni cerebrali. Le leggi della Cinematica indicano che l’entità del danno dipende dalla velocità di movimento della testa e dalla sua posizione prima dell’impatto.

La possibilità di ottenere le informazioni appena segnalate, è decisiva per decidere correttamente la modalità di stabilizzazione clinica e la sede più idonea di ospedalizzazione.

Il traumatizzato cranico, apparso stabile ad un primo esame, può andare incontro a rapido peggioramento delle condizioni neurologiche o ad alterazioni acute delle funzioni vitali: è pertanto indispensabile, al momento del ricovero, riferire la prima valutazione neurologica eseguita sull’infortunato, l’esito delle rivalutazioni successive, la dettagliata descrizione dello scenario, dei meccanismi di lesione e del trattamento intrapreso.

 2.   Fisiopatologia del trauma cranico

Numerose fonti bibliografiche evidenziano che, a seguito di un trauma cranico anche modesto, può verificarsi un transitorio arresto del respiro (impact apnea) che può durare diversi minuti, con conseguente ipossiemia e ipercapnia: la priorità assoluta di trattamento consiste, pertanto, nel garantire la pervietà delle vie aeree e supportare la ventilazione.

La comprensione dei meccanismi fisiopatologici conseguenti al trauma cranio-encefalico, comporta la corretta conoscenza della fisiologia del circolo endocranico.

Il meccanismo di autoregolazione del flusso ematico cerebrale (CBF) consente il mantenimento della perfusione encefalica su livelli costanti, anche per modeste variazioni della pressione sanguigna. Tuttavia, quando la pressione arteriosa media (MAP) si riduce al di sotto di 60 mmHg, il CBF diminuisce a livelli critici.

I parametri di riferimento sono:

§        la MAP, pressione arteriosa media (85–95 mmHg):

                                         Pressione Diastolica + 1/3 Pressione Differenziale

§        la PD, pressione differenziale:

                                         Pressione Sistolica – Pressione Diastolica

§        la CPP, pressione di perfusione cerebrale (70–80 mmHg):

                                         MAP – PIC (pressione intracranica: < 20 mmHg)

La pressione parziale della CO2 ha una particolare incidenza sul flusso ematico cerebrale: al di sopra dei normali valori di 35–45 mmHg, il circolo arterioso cerebrale si dilata con relativo aumento del flusso ematico, mentre, con la diminuzione al di sotto di 35 mmHg, si verifica vasocostrizione e riduzione del CBF.

 Le lesioni encefaliche da trauma si distinguono in primarie e secondarie: mentre le prime possono essere evitate solo con misure di prevenzione, quelle secondarie dipendono in larga misura da efficacia e qualità delle prime cure prestate sul luogo dell’evento, durante il trasporto e nelle prime ore del ricovero ospedaliero, con particolare riguardo al supporto del respiro e del circolo.

Le lesioni cerebrali primarie sono conseguenza dell’effetto diretto del trauma sull’encefalo e delle lesioni vascolari associate. Indipendentemente dalla dinamica, i neuroni sono direttamente danneggiati dall’insulto traumatico e, se il danno è sufficientemente esteso e grave, può determinarne la morte: ciò costituisce una lesione irreversibile, in quanto cellule non rigenerabili. I reliquati neurologici permanenti conseguenti, ammesso che il paziente sopravviva, dipendono dall’area cerebrale coinvolta, dalla sua estensione e dalla funzione espletata.

Le lesioni cerebrali secondarie, suddivise in sistemiche ed intracraniche, sono conseguenti all’ampliamento delle lesioni primarie a causa di fattori aggravanti. E’ dimostrato che il loro precoce riconoscimento ed il rapido trattamento, riducono al minimo l’estensione del danno cerebrale e conseguentemente la gravità della lesione ed i deficit neurologici permanenti.

Le cause sistemiche delle lesioni cerebrali secondarie sono riconoscibili e trattabili già nella fase preospedaliera: sono rappresentate da ipossia, ipercapnia, ipocapnia, ipotensione, anemizzazione, iper ed ipoglicemia. Il segno clinico principale è l’ipoventilazione che induce ipossia ed ipercapnia.

L’ipossia può verificarsi per ostruzione delle vie aeree, ab ingestis di sangue e contenuto gastrico, contusioni polmonari, pneumotorace, lembo toracico, emopneumotorace, shock. I neuroni del SNC necessitano di un costante apporto di ossigeno: una insufficiente ossigenazione cerebrale si manifesta con stato confusionale, obnubilazione ed agitazione psicomotoria. Un tessuto cerebrale già danneggiato e reso ischemico dal danno primario, sottoposto a periodi anche brevi di ipossia, va rapidamente incontro a progressiva necrosi neuronale e conseguente danno irreversibile, con possibile esito in morte cerebrale.

Il danno cerebrale è ulteriormente aggravato dall’associazione di ipocapnia o ipercapnia: l’ipocapnia, inducendo vasocostrizione nel distretto cerebrale, provoca una compromissione del CBF e dell’ossigenazione del tessuto cerebrale; l’ipercapnia, prodotta da ipoventilazione per aumento della PIC o abuso di farmaci, alcoolici, stupefacenti, causa vasodilatazione cerebrale con ulteriore incremento della PIC.

Ulteriori lesioni craniche ed extracraniche possono provocare gravi emorragie interne ed esterne: anemizzazione ed ipovolemia compromettono la perfusione sistemica e, con essa, l’ossigenazione cerebrale danneggiando ulteriormente l’integrità del SNC già ischemico.

In seguito a grave trauma cranico, il cervello può perdere oltre il 50% di capacità di autoregolazione del CBF entro poche ore. L’eventuale diminuzione della MAP indotta da uno shock ipovolemico associato al trauma cranico, provoca un ipossiemia cerebrale.

Un quadro di ipotensione arteriosa in un paziente affetto da grave trauma cranico è innanzitutto da riferire ad uno shock ipovolemico da concomitante emorragia interna od esterna o ad uno shock neurogeno da lesione mielica associata. Assai meno frequentemente, invece, è presente un’ipotensione primitiva in un grave trauma cranico, indotta da una lesione irreversibile del tronco e prelude al decesso.

Ipo- ed iperglicemia sono responsabili dell’aggravamento dell’ischemia cerebrale. In particolare, l’ipoglicemia si associa ad un rapido deterioramento delle funzioni cerebrali: i neuroni non sono fisiologicamente in grado di immagazzinare il glucosio e necessitano di un rifornimento costante per mantenere in piena efficienza il metabolismo cellulare; se esso si interrompe, si instaura un danno neuronale irreversibile, tanto più rapido ed intenso quanto più grave è il precedente stato ischemico dei neuroni stessi.

Le cause intracraniche delle lesioni cerebrali secondarie non sono, di norma, immediatamente diagnosticabili sulla scena dell’evento traumatico, ma possono essere sospettate in base alla dinamica dell’incidente ed al quadro clinico: le convulsioni, gli ematomi intracranici e l’edema cerebrale inducono ipertensione endocranica.

 Convulsioni: un’area di tessuto cerebrale ischemico o lesionato può trasformarsi in un focolaio epilettogeno, in grado di scatenare una crisi di grande male o uno stato di male epilettico, così come un’ipoglicemia, un’alterazione elettrolitica o uno stato di ipossia conseguente ad ostruzione delle vie aeree o a problemi di alterata ventilazione. Le convulsioni possono aggravare o indurre ipossia e ipercapnia per compromissione della ventilazione e la intensa attività cerebrale non coordinata, associata agli episodi convulsivi generalizzati, provoca un rapido decremento dei livelli cellulari di glucosio e di ossigeno con peggioramento dell’ischemia cerebrale.

Edema cerebrale: una lesione cerebrale primaria può produrre edema cerebrale per trasudazione infiammatoria di liquido attraverso la membrana dei vasi capillari con incremento del liquido interstiziale e rigonfiamento dei neuroni stessi. L’aumento del liquido interstiziale è causa a sua volta di ostacolo all’apporto di ossigeno ai tessuti già ischemici: si instaura, pertanto, un circolo vizioso che induce un progressivo aumento dell’edema e si determina un aumento della PIC.

Ematomi intracranici: agiscono come massa occupante spazio, determinando aumento della PIC ed ischemia ingravescente del tessuto cerebrale compresso, che tende ad erniare attraverso aree di minore resistenza (forami).

Nel trauma cranico, sia il danno diretto della corteccia cerebrale, sia la lesione del sistema reticolare attivante del tronco cerebrale inducono la riduzione del livello di coscienza: il momento causale fisiopatologico è rappresentato dall’aumento della pressione intracranica e dalla riduzione del flusso ematico cerebrale.

L’ipertensione endocranica, in particolare, è ostacolo alla corretta perfusione cerebrale.

La scatola cranica, contenitore rigido con una unica apertura, il forame magno, contiene tre elementi fondamentali: il cervello, il liquido cefalo-rachidiano ed il sangue. L’acqua, principale componente di sangue, LCR ed edema è, com’è noto, incomprimibile.

In base alla Legge di Monro-Kellie, l’aumento di volume di uno di questi tre elementi fondamentali, tende a trasmettersi a tutto il comparto intracranico e comporta la diminuzione, quantitativamente proporzionale, degli altri due: un incremento della massa cerebrale, per edema o ematoma, comporta, pertanto, una riduzione del CBF, associato ad un aumento delle resistenze vascolari, mentre il LCR viene spinto in basso, verso il canale rachideo.

L’ipossia cerebrale, secondaria alla riduzione del CBF, comporta il viraggio del metabolismo cellulare cerebrale da aerobio ad anaerobio determinando, a sua volta, l’aumento dell’edema cerebrale ed il conseguente avvio di un circolo vizioso peggiorativo. I sintomi indotti dall’edema cerebrale e dagli ematomi intracranici sono rappresentati da alterazione della coscienza, variazioni del diametro pupillare, variazioni dei parametri di ventilazione e cardiocircolatori, posture particolari dopo applicazione di uno stimolo doloroso.

 Stato ipossico e metabolismo anaerobio inducono l’attivazione dei meccanismi di compenso a garanzia di un reintegrato apporto di ossigeno al cervello. La risposta iniziale è mediata dal Sistema Simpatico: l’incremento della gittata cardiaca, per aumento del cronotropismo e dell’inotropismo, e l’aumento della pressione sanguigna per incremento delle resistenze vascolari, causano un conseguente aumento di MAP e CPP. Contemporaneamente, il sistema respiratorio incrementa il lavoro di ventilazione per elevare la disponibilità di ossigeno ematico. I segni di questo primo stadio di compenso sono rappresentati da ipertensione arteriosa, tachicardia ed aumento della frequenza e dell’ampiezza del respiro.

I barocettori carotidei ed aortici, rilevando l’aumento pressorio, tramite i centri del midollo allungato, attivano, a loro volta, il Sistema Parasimpatico: l’attivazione del nervo vago comporta il rallentamento della frequenza cardiaca.

Il fenomeno o Triade di Cushing riassume i segni dello stato di ipertensione endocranica ed è caratterizzato dalla presenza contemporanea di ipertensione arteriosa, bradicardia e alterata modalità di ventilazione.

L’ulteriore elevazione della PIC si associa alla caduta della MAP: ciò comporta la compromissione della perfusione cerebrale che può ridursi a valori prossimi allo zero con abolizione drammatica del CBF e, di conseguenza, della distribuzione  di ossigeno e glucosio alle cellule cerebrali. Questi eventi conducono progressivamente alla insufficienza delle funzioni vitali, e perdurano fino all’instaurazione di un danno cerebrale definitivo con rapida evoluzione in morte cerebrale.

Il progressivo incremento dell’edema cerebrale o l’espansione dell’ematoma intracranico, secondari all’aumento di pressione e di volume, costringono il cervello in direzione dei punti di minore resistenza: il tentorio cerebellare ed il forame magno. A questi eventi corrispondono due quadri sindromici in base alla direzione della compressione.

Quando l’edema cerebrale o un ematoma intracranico forzano il tronco cerebrale caudalmente attraverso il forame magno, si verifica l’erniazione centrale. Il quadro clinico presenta un andamento ordinato e progressivo. Inizialmente si verificano l’aumento della pressione arteriosa e la riduzione della frequenza cardiaca, la ventilazione assume le caratteristiche del respiro di Cheyne-Stokes, cicli alternati di respiri dapprima lenti e superficiali che diventano sempre più profondi e rapidi per ritornare lenti e superficiali fino all’apnea; è causato all’alternarsi di livelli ridotti di PaO2 ed aumentati di PaCO2; le pupille si presentano miotiche e reattive, ed il soggetto mantiene la capacità di localizzare e rimuovere uno stimolo nocicettivo. Il progressivo aumento della PIC, modifica la risposta motoria: il soggetto tende dapprima ad allontanarsi dalla sensazione dolorosa, successivamente ad assumere una postura decorticata.

Nella fase successiva, la pressione arteriosa continua a salire e la frequenza cardiaca a diminuire; le pupille si dilatano, con scarsa o nulla reazione alla luce. La ventilazione si trsforma in iperventilazione centrale neurogena detta Respiro di Kussmaul, consistente in ventilazioni rapide e profonde; l’applicazione di uno stimolo doloroso provoca una postura in decerebrazione, caratterizzata dall’iperestensione con intrarotazione dei quattro arti, eventualmente associate all’inarcamento della colonna vertebrale.

Da ultimo, la pressione arteriosa si riduce, la frequenza cardiaca aumenta e diviene irregolare, le pupille si presentano dilatate e fisse, la ventilazione è atassica, disordinata e non riconducibile ad un preciso pattern ventilatorio, fino all’apnea, le risposte motorie algoindotte sono assenti, fino ad una completa flaccidità nei quadri terminali.

 Quando il tronco cerebrale è compresso da un lato, si verifica l’erniazione dell’uncus del lobo temporale, attraverso il tentorio cerebellare: la compressione del 3° nervo cranico nel suo punto di passaggio nell’incisura tentoriale è evidenziato da iporeattività e dilatazione della pupilla omolaterale. I segni di compromissione delle funzioni vitali seguono un andamento non predibile, a differenza della sindrome da compressione centrale.

Entrambi i tipi di erniazione hanno come conseguenza terminale la morte cerebrale.

3.   Filosofia di intervento medico preospedaliero

Nel campo dell’Emergenza, la metodologia operativa si basa su una sequenza di valutazioni ed interventi di stabilizzazione clinica eseguiti “al volo”, prima di aver completato lo studio globale del paziente, particolarmente sulla scena dell’evento, dove occorre rimanere il minor tempo possibile. L’approccio al politraumatizzato, specie se critico, esclude la classica sequenza di metodologia medica che prevede anamnesi famigliare, fisiologica e patologica, esame obiettivo accurato, esami diagnostici completi, definizione della diagnosi ed infine trattamento del paziente.

In considerazione dei molteplici danni che il paziente può aver subito, è necessario lavorare con una sorta di “soglia di azione”, momento in cui si interviene aggressivamente anche senza aver completato le tradizionali indagini diagnostiche (esempio PNX iperteso: diagnosi clinica e non strumentale).

In Emergenza, la valutazione si fonde con la stabilizzazione clinica secondo una ben precisa sequenza operativa “A – B – C – D – E”. Tuttavia, questa metodologia non deve necessariamente seguire una scaletta lineare in cui ad una azione ne segue invariabilmente un’altra, sempre strettamente concatenata. Consiste, piuttosto, in una progressione di cicli valutativi e stabilizzativi sempre più avanzati, “loops” consecutivi in cui viene ripetuta la sequenzialità ABCDE, in una continua rivalutazione dello stato del paziente e della risposta, positiva o negativa, alle azioni di trattamento intraprese.

Talora vari loops possono tra loro embricarsi, nell’attesa di valutare l’effetto del trattamento intrapreso.

Schematicamente, a pura finalità di semplicità didattica, la fase di valutazione clinica viene distinta da quella di trattamento; nell’operatività reale, esse sono invece consequenziali: ad una specifica valutazione, segue immediatamente un atto di stabilizzazione, se esso risulta necessario.

4.   All’arrivo sulla scena, la sicurezza

All’arrivo sulla scena dell’evento traumatico è prioritario prevenire ogni rischio per le vittime, i soccorritori e gli astanti. Occorre prestare attenzione ad ogni più piccolo particolare che consenta di identificare i pericoli in atto ed i rischi evolutivi che potrebbero coinvolgere i presenti sulla scena: dal fluire di traffico veloce, alla possibilità di incendio, esplosione, crollo, cadute, intrappolamento, presenza di gas tossici e fumo.

Garantito un buon livello di sicurezza, possibilmente in collaborazione con le componenti tecniche del soccorso, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine, Soccorso Alpino, si passa a valutare la dinamica dell’evento e le caratteristiche dello scenario.

Qualora le vittime non siano in condizioni di essere immediatamente accessibili e necessitino di essere estricate da un a situazione di parziale o totale incarceramento, si procede rapidamente alla valutazione clinica e alla stabilizzazione delle funzioni vitali, prima di procedere alle manovre di recupero ed estricazione. Ove possibile, le manovre invasive sul paziente dovrebbero essere espletate in condizioni di totale libertà da vincoli logistici.

5.   Valutazione della dinamica e dello scenario

La valutazione della dinamica dell’evento traumatico consiste nel ricostruire rapidamente le modalità generali con cui esso si è verificato: impatto tra veicoli, caduta dall’alto, esplosione, aggressione.

Se possibile, le informazioni chiave sull’accaduto devono essere raccolte sul teatro dell’evento, direttamente dal paziente, se cosciente, dai testimoni e dall’osservazione dello scenario; difficilmente, tuttavia, la vittima di una lesione cerebrale traumatica è in grado di comunicare a causa di un alterato livello di coscienza.

Negli incidenti stradali occorre identificare se l’impatto del veicolo è stato frontale, laterale, rotazionale, angolare, ovvero se si è verificato un ribaltamento, un tamponamento o un’eiezione o distacco dal veicolo del traumatizzato; contemporaneamente è necessario valutare la velocità di impatto, la distanza di frenata, la presunta posizione delle vittime più gravi, il tragitto di dissipazione dell’energia e gli organi eventualmente coinvolti; occorre inoltre valutare se le lesioni sono chiuse o aperte, se vi è stato un meccanismo compressivo o da strappamento, se le vittime sono adulti o bambini.

Qualora si tratti di una caduta è importante valutare l’altezza, il tipo di superficie di impatto, morbida o dura, se in grado di assorbire l’urto, quale parte del corpo ha urtato per prima.

Nel caso delle lesioni da scoppio, ci si deve chiedere quanto la vittima fosse vicina al punto di esplosione, quali lesioni primarie, secondarie o terziarie siano presumibilmente presenti.

Infine, nelle lesioni penetranti, è indispensabile identificare il tipo di arma, da taglio o da fuoco, la sua potenza, il tipo di proiettile, da che distanza e con quale angolazione è stata colpita la vittima; occorre anche capire se l’aggressore è maschio o femmina e la sua corporatura.

E’ di estrema rilevanza la raccolta di segni quali, per esempio, la rottura del vetro del parabrezza a forma di ragnatela (urto del capo del paziente), i danni al cruscotto e all’ambiente interno della vettura prodotti dal corpo della vittima, un oggetto insanguinato (arma utilizzata per colpire), i danni prodotti nell’ambiente circostante.

Tutte le informazioni raccolte devono poi essere riportate al personale ospedaliero per mirare correttamente l’ipotesi diagnostica e la gestione del paziente.

 6.   Valutazione del paziente

Schematicamente, la fase valutativa può essere suddivisa in tre momenti successivi:

– valutazione iniziale

– valutazione primaria

– valutazione secondaria.

 VALUTAZIONE INIZIALE

Al primissimo approccio del soggetto traumatizzato, una osservazione a “colpo d’occhio” consente di ottenere una prima impressione clinica mediante una indagine semeiologica semplice, rapida ed efficace: in pochi, preziosi secondi, una ampia gamma di informazioni sono immagazzinate e classificate dalla nostra mente. Sono valutati in rapida sequenza lo stato del respiro, del circolo e della coscienza, con particolare attenzione a emorragie esterne significative e deformità importanti.

Questo processo valutativo permette innanzitutto di sospettare, evidenziare o escludere i problemi che interferiscono pericolosamente con la stabilità delle funzioni vitali del paziente, mettendone a rischio la sopravvivenza: l’identificazione e la classificazione delle lesioni in base alla loro gravità, chiariscono le priorità di trattamento mediante la immediata messa in atto di alcuni limitati, ma sostanziali provvedimenti salvavita, quali l’apertura delle vie aeree, la stabilizzazione della colonna cervicale, la compressione di una emorragia esterna imponente.

La rapida e ragionata scansione mentale della dinamica e delle lesioni consente inoltre di stabilire, in un brevissimo arco temporale, il corretto comportamento operativo: la rapida estricazione del paziente, la richiesta di risorse umane e tecniche aggiuntive, la corretta gestione del tempo di permanenza sulla scena, le modalità ed i tempi di evacuazione del paziente, la destinazione ospedaliera specifica per competenza nosologica.

Nel dettaglio, la metodologia della rapida valutazione iniziale comporta l’esame simultaneo delle diverse funzioni vitali e di relazione del paziente. Si osserva se è in grado di sostenersi autonomamente, se i suoi movimenti sono spontanei, validi e finalizzati, o se sono presenti deficit neurologici; viene apprezzato lo stato delle pupille, lo stato di coscienza e di vigilanza; si tenta di ottenere una risposta verbale coerente, valutando così non solo il livello di coscienza, ma anche la pervietà delle vie aeree, lo stato del respiro e l’entità di una eventuale difficoltà respiratoria (se il soggetto parla, le vie aeree non sono ostruite); la ricerca del polso radiale, con l’apprezzamento di qualità, ritmicità e frequenza, consente di escludere o sospettare uno stato di shock (polso radiale presente: PAS>80-90 mmHg), di evidenziare problemi del ritmo cardiaco ed altre alterazioni cardiocircolatorie importanti e pericolose; lo stato della cute (temperatura, stato di secchezza o umidità, colore, cianosi, vasocostrizione) ed il tempo di riempimento capillare (di norma < a 3”) sono segni importanti di corretta o alterata perfusione sistemica. Infine, se il paziente è cosciente e collaborante, nell’indicare le zone dolenti, consente l’identificazione di quasi tutte le sedi di lesione.

Una ultima, rapido scansione visivo-palpatoria del soggetto, secondo il metodo “testa – alluci”, consente di identificare emorragie esterne gravi, focolai di frattura e grossolane deformazioni traumatici di segmenti corporei.

 VALUTAZIONE PRIMARIA  

Qualora il paziente versi in evidente stato critico, la valutazione primaria può essere strettamente embricata alla valutazione iniziale: i tempi di permanenza sulla scena possono essere così ulteriormente ridotti a tutto vantaggio del paziente. La presenza di lesioni potenzialmente mortali deve indurre il soccorritore preospedaliero a limitare la valutazione alla fase primaria e il trattamento alle sole manovre salvavita, riservando, se possibile, tutto il resto, valutazione e stabilizzazione secondaria comprese, ad un momento successivo, per esempio durante il trasporto in ospedale.

Descriviamo la sequenza valutativa primaria.

A – vie aeree

La valutazione della pervietà delle vie aeree è in assoluto il primo punto da esaminare; uno stato di incoscienza è quasi sempre associato ad una ostruzione indotta dalla caduta della lingua nell’ipofaringe per perdita del tono muscolare. Ulteriori cause ostruttive sono i corpi estranei, protesi dentarie comprese, vomito, emorragie copiose ed edema, particolarmente frequenti nei traumi facciali.

Il segno più importante è rappresentato dal respiro russante, gorgogliante, irregolare. In alternativa, possono essere notati sforzi respiratori senza passaggio di aria oppure la totale assenza di ventilazione.

 B – ventilazione

Segue immediatamente la valutazione della funzione respiratoria; gli elementi da considerare sono la frequenza, la profondità e l’efficacia degli atti ventilatori.

E’ necessario accertarsi della presenza del respiro (Guarda, Ascolta, Senti), rilevando un valido passaggio di aria da bocca e naso, contare gli atti respiratori in un minuto (la frequenza è di 10-30 atti/minuto nell’adulto) e valutare l’ampiezza dei movimenti del torace: nel politraumatizzato, una ventilazione valida ed una buona ossigenazione possono essere ostacolati da un trauma toracico. I danni della struttura toracica sono rilevati mediante osservazione, palpazione ed auscultazione dei campi polmonari.

Le gravi lesioni cerebrali, come descritto prima, possono comportare ritmi di ventilazione alterati; nel 2–5% dei traumi cranici, può coesistere, inoltre, una frattura del tratto cervicale e, se associata una lesione mielica, la funzione ventilatoria può essere gravemente compromessa. Per tale motivo, nella pratica operativa, la stabilizzazione, almeno manuale, della testa e della colonna cervicale viene attuata contestualmente alla valutazione della pervietà delle vie aeree.

Nella valutazione della ventilazione, è utile presidio il pulsoximetro; nel paziente intubato, è la disponibilità di un capnometro consente di ottimizzare gestione e trattamento del paziente, specie durante il trasporto, in quanto preziosa fonte di dati relativi non solo alla ventilazione ma anche alla funzionalità cardiocircolatoria.

 C – circolazione

Nel traumatizzato, è necessario, già nel corso della valutazione iniziale a colpo d’occhio, ed a maggior ragione nella valutazione primaria, identificare e quantificare le emorragie esterne in corso. L’assenza di foci emorragici visibili, associata alla presenza di segni di shock (polso rapido e debole, assenza di polso radiale, cute pallida, fredda sudata, frequenza respiratoria aumentata, obnubilamento, refilling capillare prolungato), deve far presumere un’emorragia interna localizzata al torace, all’addome, al retroperitoneo o ai tessuti molli adiacenti a ossa lunghe.

Nel neonato, in cui le fontanelle non sono chiuse, può verificarsi shock ipovolemico per emorragia intracranica.

Un polso pieno e rallentato è possibile indizio di ipertensione endocranica con erniazione (fenomeno di Cushing).

 D – valutazione neurologica

Lo stato di coscienza ed il calcolo della Glasgow Coma Scale costituiscono il punto focale della valutazione neurologica primaria: l’osservazione dell’apertura degli occhi, della miglior risposta motoria e verbale rappresenta il settaggio di base nella categorizzazione del traumatizzato cranico. In presenza di un GCS alterato è utile effettuare anche un test glicemico per escludere una ipoglicemia associata, sicuramente dannosa per le cellule cerebrali.

La diagnosi differenziale di un ridotto livello di coscienza in ambito preospedaliero, può essere assai difficoltosa; un utile aiuto mnemonico può venire dall’acronimo “TIPPS on the VOWELS”:

T – trauma                                                        A – alcohol

I – infection                                                      E – epilepsy

P – psychological                                               I – insulin

P – poison                                                        O – opiates

S – shock                                                          U – urea and metabolic

 Un ulteriore dato clinico, in presenza di un livello di coscienza alterato, è desunto dalla simmetria e reattività pupillare: l’esame delle pupille, effettuato con una luce artificiale diretta, si basa sull’acronimo “PERLA” (Pupille Eguali Rotonde e reagenti alla Luce Artificiale). L’anisocoria, differenza di diametro tra le due pupille superiore ad 1 mm, è quasi sempre segno di danno da compressione del 3° nervo cranico omolaterale, mentre è percentualmente poco rilevante l’eventualità di un trauma oculare diretto o di un fenomeno congenito; in questi casi, tuttavia, la reattività pupillare è sempre simmetrica.

Un buon indicatore di aumento della PIC è rappresentato da valutazioni successive e comparative del GCS: il peggioramento dello score è correlato all’incremento della pressione intracranica, ovvero a riduzione della perfusione cerebrale, secondaria a shock ipovolemico. I segni di allarme di aumentata PIC e possibile erniazione sono rappresentati da diminuzione del GCS di due o più punti, ipo–areattività delle pupille, comparsa di emiparesi o emiplegia, insorgenza del fenomeno di Cushing.

E – esposizione/ambiente

Nel politraumatizzato, alle lesioni craniche si associano, assai frequentemente, ulteriori danni coinvolgenti altre aree corporee: è pertanto necessario esaminare tutto il corpo per evidenziare qualsiasi lesione potenzialmente mortale. E’ altresì di fondamentale importanza proteggere il paziente dalla temperatura esterna: non solo durante la stagione fredda, ma anche in estate, un politraumatizzato perde rapidamente calore se la temperatura ambientale è inferiore a quella di equilibrio.

 VALUTAZIONE SECONDARIA

Questa fase prevede l’esecuzione di un esame obiettivo più accurato, segmento per segmento, ed una anamnesi mirata: può essere intrapresa a condizione che lo stato clinico del paziente sia stabile e che tutte le lesioni potenzialmente mortali siano state evidenziate e trattate. Si procede a rilevare contusioni, escoriazioni, ferite, depressioni, crepitii e dolenzia di ogni segmento corporeo a partire dal capo e dal volto, proseguendo con la regione cervicale, il torace, l’addome, il rachide, il bacino e le estremità.

E’ importante il riscontro di fuoriuscita di liquidi organici dagli orifizi e sfinteri, in particolare di liquido chiaro da naso ed orecchi, chiaro indice di liquorrea.

Un esame neurologico più approfondito può evidenziare deficit di sensibilità e motilità dei quattro arti. In particolare attenzione va riservata ad emiparesi o emiplegie (segni di lato), parestesie, para o tetraplegie, in quanto indice di lesioni centrali o mieliche.

 Anamnesi

Le notizie anamnestiche di immediato interesse sono quelle indicate dall’acronimo “AMPLE” (allergie, medicamenti assunti, patologie pregresse ed in atto, ultimo pasto, eventi correlati al trauma) e possono essere raccolte dal paziente medesimo o, in caso di suo impedimento, dai famigliari o dagli astanti.

Diabete mellito, fenomeni convulsivi ed intossicazioni di alcoolici, droghe e farmaci possono simulare una lesione cerebrale tramatica e devono essere segnalati all’arrivo al Dipartimento di Emergenza.

Dalla storia clinica può risultare un pregresso trauma cranico associato a cefalea persistente o ricorrente, vertigini, disturbi visivi, nausea, vomito ed alterazioni del linguaggio: sono notizie importanti che devono essere riferite all’atto del ricovero in ospedale.

 Rivalutazione

Circa il 3% dei traumi cranici minori, con GCS 14 – 15, va incontro ad un deterioramento inatteso, più o meno rapido, dello stato di coscienza: in genere è secondario ad un ematoma extradurale in ampliamento.

Può altresì verificarsi un episodio convulsivo.

E’ pertanto di fondamentale importanza ripetere frequentemente i passi della valutazione primaria, comprensivi del calcolo della GCS. Tutti gli eventi devono essere riportati sulla scheda sanitaria, unitamente al trattamento effettuato ed alla risposta clinica, e trasmessi all’ospedale di ricovero definitivo.

7.   Stabilizzazione clinica – metodologia

Il trattamento preospedaliero del traumatizzato cranico mira essenzialmente a preservare le funzioni vitali secondo la classica sequenza ABCDE, trattando i danni potenzialmente mortali, individuati durante la valutazione primaria. E’ prioritario ottimizzare la ventilazione e la circolazione: la presenza di ipoperfusione e shock con tachicardia deve far sospettare uno stato ipovolemico da causa non evidente, mentre lo shock associato a bradicardia e cute ben perfusa depone per una lesione mielica alta.

 Completata la stabilizzazione, si procede ad immobilizzare il paziente, proteggerlo dall’ipotermia e ad iniziare il trasporto ad un centro ospedaliero in grado di trattare in modo globale e completo la lesione cerebrale traumatica.

L’impiego di farmaci normalmente utilizzati per la neuroprotezione a lunga durata (corticosteroidi, barbiturici) non trova indicazione nel trattamento preospedaliero, mentre mannitolo e diuretici dell’ansa, impiegati per ridurre l’edema cerebrale, sono controindicati per il rischio di indurre complicanze iatrogene.

 A – Vie aeree

Un diminuito livello di coscienza, può essere associato ad una incapacità di mantenere pervie le vie aeree. Numerosi studi hanno dimostrato che l’intubazione tracheale preospedaliera in pazienti con lesione cerebrale traumatica (LCT) e ridotto livello di coscienza, ha contribuito a ridurre sensibilmente il tasso di mortalità. Ne consegue che tutti i pazienti con grave LCT e GCS = o < 8 devono essere intubati e sottoposti a supporto della ventilazione. Tuttavia, la manovra può essere difficoltosa per agitazione, trisma, vomito e presunta lesione della colonna cervicale comportante la necessità di mantenerla in asse. In questi casi è necessario fare ricorso alla somministrazione di farmaci ipnoinducenti e curarizzanti per consentire l’esecuzione della manovra. E’ utile associare Lidocaina (1 mg/Kg) per endovena: contribuisce a contenere l’aumento della PIC durante la manovra di intubazione. Una metodica alternativa è l’intubazione rino-tracheale alla cieca, controindicata, tuttavia, se coesiste un trauma facciale e nel sospetto di una frattura della base cranica.

Ogni segno di lesione a carico delle aree al di sopra del piano delle clavicole, ancor più se è presente un ridotto livello di coscienza, ed ogni qualvolta la dinamica consenta un elevato indice di sospetto per potenziali lesioni della colonna cervicale, è imperativa l’immobilizzazione di testa e collo, al fine di impedire una evoluzione mielica di un eventuale lesione rachidea: fino a prova contraria, è bene considerare il traumatizzato cranico, come portatore di una lesione della colonna e le manovre di apertura e mantenimento della pervietà delle vie aeree ed ogni altro trattamento prioritario, devono essere eseguiti mantenendo la colonna cervicale in posizione neutra stabile.

 B – Ventilazione

La compromissione della ventilazione nel traumatizzato cranico si manifesta principalmente con alterazione della profondità e del ritmo del respiro. Tutti i traumatizzati cranici devono ricevere ossigeno supplementare e deve essere monitorizzata la SpO2 con l’obiettivo di mantenerla superiore a 95%: l’ipossia contribuisce sostanzialmente a peggiorare la prognosi delle lesioni neurologiche. Nel paziente in respiro spontaneo, l’ossigeno deve essere somministrato ad alti flussi (12 – 15 lt’) mediante maschera facciale “nonrebreather” con reservoir.

La comparsa di segni di ventilazione insufficiente, comporta l’assistenza del respiro, con l’obiettivo di procedere al più presto all’intubazione tracheale, se non ancora attuata, per garantire una ventilazione adeguata.

I pazienti intubati devono essere ventilati con FiO2 = 1,0, inizialmente con pallone di ventilazione manuale (PVM) e, successivamente con ventilatore automatico.

Un parametro di riferimento fondamentale per la garanzia di una ventilazione assistita è rappresentato dalla frequenza respiratoria (RR) che deve essere almeno di 10 insufflazioni/minuto nell’adulto, 20 nel bambino, 25 nel neonato.

I parametri di settaggio del ventilatore devono prevedere un volume corrente non inferiore a 10 – 12 ml/Kg nell’adulto e 12 – 15 ml/Kg nel bambino, una frequenza di ventilazione di 12 – 15 atti al minuto e FiO2 = 1,0. Può essere presa in considerazione l’impostazione di una pressione positiva di fine espirazione (PEEP), rammentando che il superamento di 15 cmH2O, rischia di incrementare la PIC.

Se l’ipossia persiste, nonostante l’intubazione tracheale ed una corretta ventilazione, devono esserne individuate le cause: le più frequenti sono da ricercarsi in una lesione polmonare traumatica (emo-pnx, eventualmente iperteso, contusione polmonare, etc.) o nell’inalazione di sangue o contenuto gastrico. Nel paziente intubato è fondamentale il monitoraggio della ETCO2: deve essere mantenuta a livelli tali (< 30 – 35 mmHg) da evitare l’iper – e l’ipocapnia che possono aggravare le lesioni cerebrali; è inoltre un ottimo indice della efficacia ventilatoria e della stabilità emodinamica.

L’utilizzo di una iperventilazione aggressiva in caso di LCT, induce vasocostrizione cerebrale con diminuzione correlata dell’apporto di O2 alle cellule cerebrali. Pertanto, l’iperventilazione profilattica di routine, ampiamente utilizzata in passato, si è dimostrata peggiorare la prognosi neurologica del paziente e non deve essere utilizzata.

C- Circolazione

L’ipovolemia, da qualunque causa scatenata, ma in particolare quella secondaria ad ipotensione ed anemizzazione acuta, è causa di danno cerebrale secondario. La prima priorità di trattamento è il controllo delle emorragie esterne mediante compressione diretta o bendaggio compressivo. Una medicazione compressiva è altrettanto utile nel caso di estese ferite al cuoio capelluto ed è in grado di limitare l’estensione di un ematoma extracranico nella compagine dello scalpo; è tuttavia controindicata se è presente una sottostante frattura affossata della volta cranica, perché rischia di peggiorare una eventuale lesione cerebrale localizzata e di incrementare la PIC.

L’allineamento e l’immobilizzazione del ferito su tavola spinale contribuisce a contenere l’emorragia interstiziale in sede di frattura.

L’ipotensione, in particolare da causa ipovolemica, incrementa l’ischemia cerebrale: i dati della letteratura indicano una elevata incidenza di mortalità (75%) nei pazienti con lesione traumatica cerebrale se sono presenti contemporaneamente ipossia ed ipotensione. E’ pertanto prioritario, rispetto alle lesioni cerebrali, che il paziente in shock ipovolemico da emorragia interna grave, sia rapidamente trasportato presso un centro ospedaliero con immediata disponibilità di intervento chirurgico idoneo a bloccare il focolaio emorragico.

Il trattamento efficace sulla scena dello shock ipovolemico e neurogeno consiste nel rimpiazzo volemico previo incannulamento di 1 o più vene periferiche con cannule corte di grosso calibro (14 – 16 G): il ricorso a soli cristalloidi, colloidi e cristalloidi, soluzioni ipertoniche di cristalloidi, dipende dai protocolli locali, dalla scelta e dalla formazione del medico. Secondo alcune metodologie (scoop & run versus play & stay) può non essere indicata la permanenza sulla scena al solo fine di reperire un accesso venoso, procedura che può essere attuata a bordo del mezzo, specie se il tempo di rientro in ospedale non è contenuto.

In ambito preospedaliero è indubbiamente difficile stabilire l’entità della perdita ematica al fine di garantire un corretto rimpiazzo volemico: i parametri di valutazione emodinamica, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, riempimento capillare, frequenza respiratoria spontanea, saturazione periferica di ossigeno, stato di coscienza, pur costituendo un insieme di indici semeiologici validi, possono risultare inficiati da artefatti secondari alla lesione traumatica, allo stato psichico, all’integrità o meno della coscienza, a lesioni associate ed ai fattori ambientali (freddo).

La pressione arteriosa non invasiva, pur con i limiti della metodica, rappresenta l’unico parametro relativamente sicuro su cui far affidamento: il primo indizio di shock è il rilievo di una differenziale ridotta. E’ importante, al fine di garantire una sufficiente perfusione cerebrale, che la PAS non scenda al di sotto di 90 – 100 mmHg; valori ottimali sono rappresentati da una sistolica > 120 ed una media > 90. Secondo alcuni autori, è opportuno non introdurre una eccessiva quantità di liquidi per evitare la ripresa o l’aumento di una emorragia interna autolimitatasi, l’aumento dell’edema cerebrale e l’aumento della PIC. Secondo tali indicazioni, un paziente adulto con lesione cerebrale traumatica, parametri vitali stabili ed assenza di ulteriori sospette lesioni, la quantità di liquidi da introdurre non dovrebbe superare i 125 ml/h per via endovenosa; naturalmente tale velocità deve essere aumentata in caso di insorgenza di segni di shock.

Un presidio che non ha trovato grande impiego in Italia, è costituito dai pantaloni anti-shock (PASG), particolarmente utile nei pazienti con emorragie addominali e retroperitoneali, nonché con frattura di bacino.

 D – Valutazione neurologica

Valutati lo stato di coscienza, con l’utilizzo della Glasgow Coma Scale, del diametro e dell’attività pupillare, la eventuale presenza di deficit sensitivo-motori e segni di lato, l’obiettivo prioritario è il trattamento delle condizioni che possano indurre un danno secondario. Le crisi comiziali generalizzate, ricorrenti o prolungate, devono essere controllate mediante la somministrazione di farmaci anticonvulsivanti: propofol, tiopentone sodico, benzodiazepine (midazolam, lorazepam, diazepam).

L’impiego di questi farmaci deve essere estremamente cauto per evitare ipotensione e depressione respiratoria. In presenza di ipoglicemia (HGT < 60) è bene somministrare glucosio 33% – 50% fino al raggiungimento di normali valori glicemici.

Sono tassativamente da escludere le infusioni di soluzioni glucosate a concentrazioni inferiori per il rischio di aggravare l’edema cerebrale.

L’alta incidenza di lesioni associate del rachide, particolarmente del tratto cervicale, impone l’immobilizzazione dapprima manuale, il posizionamento di un collare cervicale e l’immobilizzazione su tavola spinale. Il collare cervicale non deve essere troppo stretto per evitare l’ostacolo al deflusso venoso dal cranio e l’aumento della PIC.

E’ buona norma trasportare il traumatizzato cranico mantenendo sollevati testa e tronco di 15°, con rachide in asse; tale posizione è tuttavia controindicata in presenza di un quadro di shock.

 Alcune ulteriori considerazioni terapeutiche

La prevenzione ed il trattamento sulla scena di aumentata PIC prevede alcuni capisaldi:

·        sedazione con benzodiazepine o propofol a basso dosaggio (1 – 2 mg/Kg) ed eventuale associazione di fentanil, con particolare attenzione a non destabilizzare la perfusione cerebrale inducendo una ipotensione importante;

·        curarizzazione del paziente intubato e ventilato con agenti competitivi a media durata;

·        ventilazione adeguatamente controllata, con attento monitoraggio della ETCO2 che deve permanere su livelli di 30 – 35 mmHg, per evitare ipocapnia che, producendo vasocostrizione cerebrale, riduce la perfusione;

·        se il monitoraggio della ETCO2 non fosse disponibile, il paziente adulto può essere ventilato con frequenza pari a 12 – 15 atti al minuto, il bambino a 25 – 30 atti ed il neonato a 35, valutando una corretta espansione toracica e senza superare 20 cmH2O di pressione di picco se si utilizza un respiratore con monitoraggio di pressione di insufflazione;

·        evitare che il collare cervicale sia troppo stretto ed impedisca il ritorno venoso nelle giugulari (possibilità di rimozione a patto di una corretta immobilizzazione di collo e testa);

·        l’evidenza clinica di una PIC aumentata, non autorizza in ambito preospedaliero l’utilizzo di mannitolo (0,25 – 1 gr/Kg) per via endovenosa, da solo o in associazione a furosemide a dosi di 0,3 – 0,5 mg/Kg, in quanto controindicato in presenza di un versamento ematico intracranico; inoltre l’induzione di una diuresi eccessivamente abbondante può comportare ipovolemia con conseguente peggioramento della perfusione cerebrale.

8.   Trasporto

Il paziente portatore di lesione cerebrale traumatica media o grave, deve essere rapidamente trasportato presso un ospedale idoneo al trattamento specifico della lesione: deve essere, pertanto, dotato di TAC, Centro di Neurochirurgia e Rianimazione, la sala deve essere operatoria disponibile su tutto l’arco delle 24 ore. Ai fini prognostici, l’intervento neurochirurgico urgente può essere dirimente e se necessario deve essere impiegato un mezzo aereo per contenere al massimo i tempi di ricovero e di inizio dell’intervento stesso.

La fase del trasporto non è un intervallo inoperoso ma deve essere un periodo attivo di trattamento.

Innanzitutto il paziente deve essere monitorizzato in modo ottimale e sottoposto a rivalutazione clinica periodica delle funzioni vitali.

La rivalutazione clinica riprende la sequenza ABCDE e gli intervalli tra i controlli devono essere adeguati alla criticità del paziente: almeno ogni 5’ nel paziente instabile e almeno ogni 15’ in quello stabile.

Il monitoraggio strumentale deve comprendere un tracciato ECG con almeno 2 derivazioni, la frequenza cardiaca, la NIBP, la SpO2, la ETCO2 nel paziente intubato e ventilato, alcuni parametri di ventilazione (Ppicco, Peep, FiO2, RR) ed eventualmente la temperatura timpanica, specie in periodo invernale. L’impiego di una Peep, in caso di ipossiemia refrattaria da lesioni associate (ad esempio contusione polmonare), deve essere cauta e non superiore a 15 cm H2O per evitare un aumento della PIC.

Occorre compiere ogni sforzo per evitare l’ipotermia.

La posizione più corretta per il trasporto è quella supina nel politraumatizzato, per la concomitanza di lesioni di altri distretti corporei.

Non tutti concordano sull’utilità di mantenere il distretto cefalico più elevato per favorire il deflusso del sangue e ridurre la PIC; tale elevazione deve essere esclusa negli stati shock e riservata ai traumi cranici puri, impiegando un’inclinazione di circa 15°. E’ bene ricordare che inclinazioni superiori a 25°–30° rischiano di compromettere la perfusione cerebrale.

     Durante il trasferimento possono verificarsi numerosi eventi critici, quali perdita della pervietà delle vie aeree, insufficienza o arresto del respiro, ipossiemia e ipercapnia, pneumotorace iperteso, aritmia maggiore, collasso cardiocircolatorio, perdita della coscienza, ipotermia. Il trasporto stesso può indurre effetti deleteri, anche molto impegnativi, sull’organismo umano, secondari a vari fattori di disturbo, come le forze di accelerazione, le vibrazioni, i rumori, la quota di volo in corso di elitrasporto, le caratteristiche del mezzo e le attività espletate sul paziente.

L’ospedale ricevente deve essere tempestivamente preallertato dalla Centrale Operativa 118, per garantire una adeguata accoglienza al paziente. Le informazioni devono riportare tutte le notizie relative alla dinamica dell’evento, i parametri vitali (GCS compresa) iniziali, le lesioni importanti e la risposta al trattamento intrapreso.

9.   Conclusioni

Rivediamo in sintesi i punti salienti dell’intervento preospedaliero del trauma cranico e delle lesioni associate.

Innanzitutto è indispensabile ridurre al minimo il tempo di permanenza sulla scena: la stabilizzazione definitiva di un trauma cranico è intraospedaliera ed ogni sforzo deve essere compiuto dal team di emergenza per trasferire il paziente, correttamente stabilizzato, nel centro più idoneo al suo trattamento clinico specifico.

Sulla scena, la priorità iniziale è la valutazione e la prevenzione dei rischi in atto e di quelli evolutivi, al fine di garantire la massima sicurezza al paziente, ai soccorritori ed agli astanti.

La corretta valutazione della dinamica dell’evento e la prima impressione clinica, ottenuta mediante una precisa valutazione iniziale, sono estremamente importanti per le successive decisioni operative: inducono un elevato indice di sospetto per tipologia e gravità delle lesioni.

E’ importante rammentare che la necessità di una eventuale estricazione prolungata del paziente costituisce un importante fattore di aggravamento e deve essere tenuto in seria considerazione per il trattamento mirato e l’ospedalizzazione.

La valutazione e stabilizzazione primaria comprendono l’immobilizzazione del tratto cervicale, il mantenimento della pervietà delle vie aeree, la somministrazione di ossigeno ad alti flussi e l’eventuale supporto per una adeguata ventilazione, il controllo dei focolai di emorragia, il posizionamento di uno o più accessi venosi di grosso calibro per iniziare il ripristino volemico, l’immobilizzazione su tavola spinale, la protezione termica ed il monitoraggio completo. Se il paziente rimane clinicamente instabile deve essere rapidamente trasferito in ospedale con adeguata assistenza durante il trasporto; se le funzioni vitali appaiono stabili è possibile effettuare la valutazione e stabilizzazione secondaria, pur nel rispetto del concetto di ridurre al minimo il tempo sulla scena.

Tutte le informazioni relative all’evento, alle condizioni del paziente e la risposta al trattamento devono essere comunicate alla C.O. 118 che, a sua volta, deve allertare l’ospedale ricevente, fornendo tutte le notizie che il team sanitario ha trasmesso.

All’arrivo del paziente al Dipartimento di Emergenza, il paziente viene preso in carico dal personale di turno: l’operazione comprende il passaggio di tutte le informazioni relative all’evento, al trattamento ed alla relativa risposta clinica.

Ogni dato deve essere riportato nella scheda sanitaria di intervento.

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