Timing della tracheotomia

Il Timing della Tracheo(s)tomia
Angelo G.  Blasetti – Giovambattista  Barbati
U.O.C di Rianimazione  P.O.  “SS Filippo e Nicola”  Avezzano

INTRODUZIONE
L’intubazione della trachea, nelle due varianti translaringea e tracheotomica, viene praticata universalmente e da molti anni nelle terapie intensive per i pazienti che richiedono ventilazione meccanica per periodi più o meno prolungati.

Nonostante questo lungo periodo di applicazione e la conseguente evoluzione tecnologica che ha portato all’uso di materiali e procedure sempre meno traumatiche per il paziente, come per esempio le nuove tecniche di tracheostomia percutanea, ancora oggi si discute se per un prolungato controllo delle vie aeree sia preferibile la tracheostomia o l’intubazione translaringea.

In fin dei conti, visto che è pratica comune intervenire all’inizio con l’intubazione translaringea, il vero problema sta nello stabilire il “momento giusto” per tracheostomizzare un paziente già intubato, che necessita di un lungo periodo di ventilazione meccanica e di controllo delle vie aeree [1].

Questa decisione non può prescindere dalla valutazione di un bilancio rischio-beneficio, sulla base di dati validati dalla letteratura internazionale. Proprio i limiti della pur vasta letteratura sull’argomento sono la causa della mancanza di un universale consenso sul timing della tracheotomia, come si evince dalla revisione di Maziak et al che evidenzia che degli oltre 8000 lavori esaminati in un trentennio di studi, solo 5 rispettano i criteri imposti per un obiettivo confronto dei risultati: dall’analisi dei quali non emerge una sufficiente evidenza scientifica sull’importanza del timing su parametri quali la durata della ventilazione meccanica, l’incidenza di complicanze precoci e tardive e l’outcome definitivo dei pazienti [2]. Gli autori concludono sostenendo la necessità di studi prospettici, randomizzati e controllati sull’argomento, come per esempio lo studio organizzato nel 2004 dalla UK Intensive Care Society facente capo al dr. Young del Radcliffe Hospital di Oxford, del quale si attendono i risultati [3].

INTUBAZIONE TRANSLARINGEA: VANTAGGI E SVANTAGGI

L’intubazione translaringea è una manovra quasi sempre facile e rapida, priva delle complicanze chirurgiche acute e a distanza che gravano sulla tracheotomia. E’ quindi utilizzata universalmente in prima istanza per la ventilazione ed il controllo delle vie aeree (rimozione delle secrezioni, prevenzione delle polmoniti da aspirazione). Alla lunga però questa risulta essere una condizione che presenta diversi svantaggi.

Innanzi tutto la intubazione spesso richiede un significativo uso di farmaci sedativi ed analgesici per tollerare la presenza stessa del tubo, con gli evidenti problemi connessi agli effetti secondari di tali farmaci. E’ stata notata una notevole riduzione nel fabbisogno di sedativi quando si passa alla tracheotomia, fatto questo attribuibile alla riduzione delle afferenze nervose corticali scendendo da naso, bocca e lingua fino alla laringe [4].

Il paziente intubato presenta difficoltà nell’igiene orale, con la bocca che può presentarsi  dolorante, irritata, infiammata ed ulcerata. Il tubo orale risulta difficile da fissare ed ogni movimento del capo e del collo può provocare piccoli movimenti della cuffia con abrasioni della mucosa laringea. Sono ovviamente quasi la regola le difficoltà alla deglutizione e a comunicare con il personale medico e infermieristico.

Se l’intubazione è condotta per via nasale non è trascurabile il rischio di infezioni dei seni paranasali e le lesioni cutanee da decubito del tubo [5].

Il rischio maggiore di una intubazione translaringea prolungata è comunque quello del potenziale danno alla mucosa laringea con possibili gravi esiti a distanza, come per esempio la stenosi sottoglottica. E’ noto che sono sufficienti solo 72 ore di intubazione perché l’abrasione dovuta ai movimenti del tubo (provocati per esempio dalla flessione della testa o dalla semplice deglutizione) e la compressione esercitata da questo sulle strutture anatomiche provochi lesioni ulcerative ed edema della mucosa laringea a livello della commissura posteriore, delle cartilagini aritenoidee e del cono ipoglottico [6],[7]. E’ ormai accertato il ruolo preponderante nel determinismo di tali lesioni mucose del traumatismo diretto della manovra di intubazione, spesso magari reiterato nel tempo quando le manovre di weaning falliscono e c’è necessità di reintubare il paziente. L’evoluzione di questo traumatismo acuto o precoce può, come già detto, essere quella di provocare una stenosi laringea sottoglottica tardiva, eventualità drammatica dal punto di vista funzionale, in quanto il trattamento è molto complesso, può richiedere ripetuti interventi e può causare disabilità permanente [1].

L’incidenza di queste gravi complicanze laringee varia notevolmente nei diversi studi: alcuni autori [8] la riportano superiore al 10 % nei pazienti intubati da 1 a 14 giorni. Molto noti, anche se alquanto datati (1984) sono i risultati di Whited [9], riguardanti 200 pazienti intubati e degenti in terapia intensiva: in quelli incubati da 2 a 5 giorni l’autore riscontra un’incidenza di stenosi laringee del 2 % ed un’incidenza del 6 % di danni laringei transitori (inalazione da incompetenza della  glottide, paralisi cordale, disfonia); nei pazienti intubati da 6 a 10 giorni le stenosi laringee raggiungevano il 5 %, mentre l’incidenza di stenosi croniche irreversibili nei pazienti ventilati per 11 giorni ed oltre era pari al 12 %.

Esistono però in letteratura altri studi che non concordano con quelli appena segnalati [10] e che non segnalano una diretta correlazione fra durata dell’intubazione e complicanze laringee. Alcuni autori [8],[11],[12]  segnalano stenosi laringee dopo periodi di intubazione anche molto brevi, da 1 a 3 giorni; manca in ogni caso il riscontro clinico dell’evoluzione a distanza delle lesioni acute della mucosa, che risultano non avere un indiscusso valore predittivo sulla possibilità di identificare i pazienti a rischio di sviluppare complicanze laringee a distanza [13]. Questa evoluzione sfavorevole può essere condizionata anche da altri concomitanti fattori clinici (ipotensione protratta, infezioni locali).

TRACHEOSTOMIA: VANTAGGI E SVANTAGGI

La tracheotomia è una procedura chirurgica come tale gravata da complicanze acute e croniche. Tra le prime possiamo annoverare le emorragie (5% in alcune casistiche), l’enfisema sottocutaneo (0 – 9 %), il pneumotorace (0,9 – 5%), le rotture della parete posteriore della trachea ed i danni all’esofago. Le complicanze chirurgiche a distanza comprendono invece l’infezione della ferita, i danni al nervo ricorrente e la stenosi dello stoma (riscontrata nell’ 8 – 65% delle tracheotomie chirurgiche) [14]. In quanto intervento chirurgico la tracheotomia presenta anche costi più elevati, che vengono però drasticamente ridotti usando le tecniche percutanee che vengono praticate dall’intensivista al letto del paziente, evitando la necessità di ricorrere al chirurgo ORL in sala operatoria. Indipendentemente dalla tecnica usata, la letteratura evidenzia che l’incidenza delle complicanze è notevolmente dipendente dall’esperienza dell’operatore [14][15], nonché per quanto riguarda le tecniche percutanee dal monitoraggio broncoscopico, che consente di evitare, per esempio, la creazione di una falsa strada [14][16].

Notevoli sono invece i vantaggi della tracheotomia rispetto all’intubazione translaringea [4][17]. Migliore è senz’altro il comfort del paziente [18], con minore fabbisogno di farmaci sedativi ed analgesici. In breve tempo il paziente può essere in grado di deglutire e quindi di alimentarsi, nonché, con l’ausilio di cannule particolari, di parlare e di comunicare con il personale curante. Ovviamente c’è una migliore igiene orale, con la possibilità di prevenire i danni alla lingua, ai denti, alle labbra ed al palato. Il paziente è più autonomo e può essere mobilizzato più precocemente. E’ altresì migliore la possibilità di rimuovere le secrezioni respiratorie.

Un altro aspetto importante è la tutela della competenza della glottide, con conseguente minor rischio di aspirazioni e di polmoniti associate al ventilatore [17]. Ovviamente la tracheotomia consente la rimozione del tubo translaringeo e quindi la prevenzione di ulteriori danni alla mucosa laringea da esso procurati. A proposito di quest’ultimo argomento, alcuni autori, dopo studi sperimentali su animali, ipotizzano che la tracheotomia possa aggravare le lesioni laringee indotte dalla precedente intubazione, con un duplice meccanismo. In primo luogo la contaminazione batterica dello stoma con drenaggio mucociliare dei germi verso la laringe potrebbe ritardare la guarigione delle ulcerazioni della mucosa. In secondo luogo la eliminazione del flusso aereo translaringeo porterebbe ad inibizione dei movimenti delle corde vocali, avvicinamento dei margini lesionati e formazione di aderenze fibrotiche stenosanti [19]. In realtà questi dati sperimentali non controindicano la tracheotomia, ma ne suggeriscono semmai un ricorso più precoce.

Altri potenziali vantaggi molto importanti della tracheotomia rispetto all’intubazione translaringea sono la riduzione dello spazio morto e la riduzione del lavoro respiratorio, che almeno in teoria potrebbero tradursi in una maggiore probabilità di successo delle manovre di weaning, in una riduzione della durata della ventilazione meccanica e in una riduzione della durata della degenza in terapia intensiva. La tracheotomia riduce lo spazio morto di circa 150 ml. L’approccio diretto alla trachea consente di utilizzare cannule di diametro interno maggiore di quello del tubo translaringeo; inoltre la minore lunghezza e l’assenza di plurime curvature determina minore resistenza al flusso aereo. Il paziente con limitata riserva respiratoria si giova di ciò, riducendo il lavoro respiratorio e gli episodi di fatica respiratoria che compromettono il successo del weaning. Anche la transizione fra differenti modelli di supporto respiratorio in corso di weaning è facilitata dalla presenza in situ di una cannula tracheostomica: non c’è bisogno di ripetuti tentativi di estubazione, né, in caso di insuccesso, di conseguente nuova anestesia e reintubazione [4].

IL TIMING DELLA TRACHEOSTOMIA

A livello teorico il momento ideale per praticare la tracheotomia in un paziente bisognoso di ventilazione meccanica prolungata è quello in cui le complicanze correlate al prolungamento dell’intubazione translaringea divengono superiori a quelle conseguenti la tracheotomia.

E’ ovvio che questa scelta è stata nei vari periodi condizionata dalla evoluzione tecnologica dei vari presidi a disposizione dell’intensivista: negli anni ’60 la elevata incidenza di danni laringei causati dai tubi tracheali rigidi allora in uso faceva propendere per un ricorso veramente precoce alla tracheotomia (entro 48 – 72 ore), indipendentemente dalla presunta durata dell’intubazione. Al contrario, negli anni ’70 l’introduzione di tubi più morbidi con cuffie atraumatiche ad alto volume-bassa pressione, ha portato al progressivo differimento della tracheotomia, prolungando l’intubazione translaringea di 2 – 3 settimane [1].

Stabilire il timing ideale della tracheotomia nei pazienti critici è difficile, perdurando al momento attuale la mancanza di Linee Guida universalmente riconosciute. Anche le stesse definizioni di tracheotomia precoce (early tracheostomy, ET) e tracheotomia tardiva o selettiva (late o selective tracheostomy, LT/ST) vengono applicate dai vari autori in maniera soggettiva. In una recentissima review dei pazienti critici condotta a Taiwan, Hsu e coll. [20] hanno concluso che la LT è associata con una più bassa probabilità di successo del weaning, e con un più lungo periodo di permanenza in Terapia Intensiva. Pur essendo questo lavoro molto recente (2005), il cut-off prescelto per distinguere ET da LT è il giorno 21 dall’inizio dell’intubazione translaringea!

In un recente studio prospettico su 74 pazienti critici ventilati per oltre 72 ore viene definita ET quella praticata prima di iniziare le manovre di weaning, mentre la ST  è quella eventualmente praticata dopo l’inizio dello svezzamento [21]. In questo studio vengono esaminati i due gruppi in base alla durata del weaning e alla durata totale della ventilazione meccanica, nonché rispetto alla frequenza degli episodi di fatica respiratoria e delle complicanze come la polmonite. A conclusione dello studio gli autori affermano che la ET può ridurre la durata del weaning, la frequenza degli episodi di fatica respiratoria e gli episodi di polmonite. Tutto ciò indipendentemente dal fatto che il paziente sia o no un traumatizzato cranico o abbia o no un alterato stato mentale al momento dello svezzamento. La ET non sembra avere effetto sulla durata della ventilazione meccanica.

Nel lavoro di Bouderka sui traumatizzati cranici gravi (GCS =< 8, con TC positiva per focolaio contusivo cranico) per ET si intende una tracheotomia praticata al giorno 5 di ventilazione meccanica [22]. Il gruppo così trattato mostra una diminuzione della durata totale della ventilazione meccanica e della durata della ventilazione dopo l’insorgenza di polmonite. Non c’è differenza tra il gruppo tracheotomia precoce ed il gruppo intubazione prolungata per frequenza di polmoniti e per mortalità.

Analoghe le conclusione cui giungono altri autori: secondo Arabi e coll., la ET (definita quando praticata entro 7 gg. dalla intubazione) nei traumatizzati è associata con una minore durata della ventilazione meccanica e con una minore durata della permanenza in terapia intensiva, senza influenzare l’outcome [23]. Teoh e coll. pongono l’attenzione sui pazienti critici neurochirurgici con basso GCS e concludono che la ET (anche qui definita quando praticata entro 7 gg. dalla intubazione) è associata con ridotta incidenza di colonizzazioni tracheobronchiali (Acinetobacter, Pseudomonas, MRSA, ecc), maggiore guarigione dalle polmoniti nosocomiali e weaning più rapido [24].

Un criterio temporale ancora diverso viene adottato nel suo studio da Brook e coll: per questi autori la ET è tale quando praticata entro il giorno 10 dall’inizio della ventilazione meccanica: essi concludono che la ET è associata a più corta permanenza in Terapia Intensiva e a più bassi costi di ospedalizzazione, quindi aggiungono di essere consapevoli che il timing ideale della tracheotomia è ancora lungi dall’essere ben definito [25]. Anche in pazienti critici dopo cardiochirurgia la ET (eseguita entro il giorno 7) è stata associata con buona significatività al successo delle manovre di weaning, con tempi più corti di ventilazione meccanica e di permanenza in Terapia Intensiva [26].

Altri autori forniscono dati meno entusiastici sull’efficacia della tracheotomia precoce: in un lavoro del 1997 (studio prospettico multicentrico randomizzato su pazienti critici traumatizzati cranici,  traumatizzati non cranici e non traumatizzati), Sugermann e coll non hanno trovato differenze significative fra i 2 gruppi (ET, intervento entro il giorno 5 e LT, intervento oltre il giorno 10), per quanto riguarda la durata della degenza in Terapia Intensiva, l’incidenza di polmoniti e la mortalità. C’è comunque da dire che i pazienti del gruppo ET + trauma cranico presentavano uno score APACHE III più alto [27].

A conclusione di questa breve rassegna dei lavori più recenti si può affermare che siamo ancora fermi alle raccomandazioni della ormai datata (1989) Consensus Conference on Artificial Airways in Patients Receiving Mechanical Ventilation, che, riconoscendo l’incertezza dell’argomento, sottolineava la necessità di studi prospettici, randomizzati e controllati [28]. Le raccomandazioni di quest’ultima consigliavano l’intubazione solo se la prevista durata della via aerea artificiale è inferiore a 10 giorni e suggeriscono la tracheotomia quando questa durata è superiore a 21 giorni. Successivamente Heffner ha proposto come più opportuno un approccio anticipato alla tracheotomia: la decisione deve essere presa entro i primi 7 giorni di ventilazione meccanica, senza applicare un calendario rigidamente precostituito: se si prevede di potere estubare con successo il paziente entro i successivi 7 giorni, dovrebbe essere mantenuta l’intubazione; se invece è ragionevole prevedere una durata superiore del supporto ventilatorio, il paziente andrebbe precocemente tracheostomizzato [29].

In ultimo va detto che le tecniche di tracheotomia dilatativa percutanea hanno favorito un più precoce impiego della tracheotomia, per motivi clinici (ridotta incidenza delle infezioni, ridotta incidenza delle stenosi, miglior risultato estetico) e per motivi pratici (rapidi tempi di esecuzione svincolati dalla disponibilità della sala operatoria).

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