Stabilizzazione ventilatoria ed emodinamica

Davide Cordero*, Maurizio Raimondi
ASL5, Regione Piemonte, UOC Anestesia Rianimazione Ospedale Rivoli (To) – Servizio Regionale Piemontese di Elisoccorso
Centrale Operativa S.S.U.Em. 118 Pavia e Provincia,  I.R.C.C.S. Policlinico S.Matteo, Pavia

Introduzione
Il trauma, nei paesi industrializzati, è la prima causa di morte nelle età al di sotto dei 45 anni e la terza dopo le patologie cardiovascolari ed i tumori. Le statistiche riportano, inoltre, che per ogni decesso da trauma corrispondono fino a tre invalidi permanenti: tutto ciò comporta un pesante impatto socio-economico per la perdita di molti anni lavorativi per ogni disabile post-traumatico acquisito ed esorbitanti costi sociali e sanitari proprio a causa degli esiti invalidanti. Tra questi ultimi, principalmente, una delle principali cause è il trauma vertebro-midollare: non riconosciuto ed adeguatamente trattato sul campo, può determinare danni fisici irreparabili.
In base al tipo ed alla sede della lesione, le conseguenze sono di due categorie:
1.compromissione delle funzioni vitali con rischio immediato per la sopravvivenza
2.invalidità permanente con impotenza sensitivo-motoria più o meno estesa.
Il danno mielico può essere direttamente indotto dal trauma o secondariamente, su midollo integro, dai movimenti della colonna danneggiata. Ne consegue che la mancata o incongrua immobilizzazione di una frattura vertebrale ed il consentire al traumatizzato di muoversi, può avere conseguenze devastanti e definitive, non essendo possibile una rigenerazione del tessuto nervoso midollare danneggiato.
Una lesione midollare ha importanti conseguenze per il soggetto:
sulla sua fisiologia, in quanto la perdita più o meno completa dell’uso degli arti e di altre aree, altera notevolmente le funzioni fisiologiche dell’organismo;
sulla qualità della vita, in quanto il normale stile di vita viene totalmente compromesso con necessità di cambiamenti radicali nelle attività quotidiane e drastica limitazione dell’autonomia e dell’indipendenza.
La lesione mielica comporta, inoltre, un carico economico rilevante per il soggetto e per la collettività, essendo necessario un oneroso trattamento immediato ed a lungo termine: si calcola che il costo totale per la restante vita del traumatizzato vertebro-midollare con reliquari permanenti sia superiore ad 1 milione – 1 milione e 200.000 euro. Se si tiene anche conto che la maggior parte dei traumi vertebro-midollari invalidanti sono più frequenti nei giovani, in un arco di età compreso tra i 16 ed i 35 anni, in quanto coinvolti in attività più violente e ad alto rischio, si può meglio comprendere come i costi sociali siano particolarmente elevati: si tratta, infatti, di soggetti sani in età ampiamente produttiva, con previsione di vita, pur invalidi, a lungo termine.
Le cause dei traumi vertebro-midollari sono rappresentate, nel 48% dei casi, negli incidenti automobilistici, nel 21% nelle cadute, nel 15% nei traumi penetranti, nel 14% negli incidenti sportivi e nel 2 % in alte cause.

Fisiopatologia
La potenzialità lesiva di un trauma rachideo è basata sull’azione di forze violente ed improvvise che, impattando sul capo o sul collo, o determinando una deviazione del tronco oltre il normale allineamento col capo, provocano lo spostamento della colonna vertebrale oltre i suoi normali limiti di movimento.
Le modalità lesive si basano su quattro punti:
1.gli oggetti tendono a rimanere nella stato di movimento o di riposo in cui si trovano nel momento in cui viene loro applicata una forza (principio della Fisica);
2.la testa si può muovere in direzioni diverse rispetto al tronco, se una forza violenta agisce sul rachide e sul midollo cervicali;
3.movimenti improvvisi e violenti della parte superiore del corpo rispetto alla pelvi ed alle gambe, o viceversa della parte superiore delle gambe rispetto alla pelvi, determinano l’applicazione di una intensa forza contraria alla colonna vertebrale a livello del tratto dorso-lombare ed una dislocazione opposta della pelvi stessa;
4.l’assenza di deficit neurologici non esclude lesioni ossee o legamentose della colonna o di lesioni da compressione e stiramento del midollo spinale con possibilità di evoluzione tardiva.
I deficit neurologici da interessamento del midollo spinale possono essere temporanei o definitivi; in altri casi, il deficit neurologico è secondario ad una lesione dei nervi periferici o delle estremità senza coinvolgimento del midollo spinale.
Ne consegue che l’indice di sospetto per una potenziale lesione midollare deve essere elevato, in particolare quando la dinamica dell’evento traumatico comporti:
un impatto violento su capo, collo, tronco e bacino;
accelerazione o decelerazione improvvisa;
forze di flessione laterale applicate su collo o tronco;
eiezione o caduta da qualsiasi veicolo in movimento;
cadute con importante dinamica, specie negli anziani; il rischio è elevato con andamento esponenziale in relazione all’altezza della caduta stessa;
le vittime di incidenti, specie tuffi, in acque basse.
Gli elementi ossei del rachide possono sopportare forze superiori a 7000 kilogrammetri (1360 joule) di energia. I movimenti ad alta velocità e gli sport di contatto esercitano di norma forze assai superiori a tale limite. Anche un semplice incidente automobilistico a bassa velocità, può determinare sull’organismo non protetto, forze di oltre 4000 joule, quando la testa viene fermata improvvisamente dal parabrezza o dal tettuccio, o quando un motociclista subisce il distacco dal mezzo in avanti o uno sciatore urta contro un ostacolo ad alta velocità.
Le lesioni scheletriche a carico del rachide sono suddivisibili in quattro categorie:
1.fratture determinate da compressione di una vertebra con depressione completa o cuneiforme del corpo vertebrale;
2.fratture determinanti la produzione di piccoli frammenti ossei occupanti il canale vertebrale a ridosso del midollo spinale;
3.sublussazioni con parziale dislocazione di un elemento vertebrale rispetto al suo normale allineamento;
4.distrazione o lacerazione dei legamenti e dei muscoli con conseguente instabilità vertebrale.
Ognuna di queste lesioni scheletriche può esitare immediatamente in un danno grave del midollo spinale consistente in sezione irreversibile, compressione o stiramento. Talora il trauma, senza produrre un danno midollare diretto, può generare una situazione di instabilità della colonna.
Nel 10% delle lesioni del rachide, è contemporaneamente presente una ulteriore frattura vertebrale, non contigua.
L’assenza di deficit neurologici, non esclude una frattura o una instabilità di colonna: una buona risposta sensitivo-motoria agli arti è unicamente indice di integrità anatomo-funzionale del midollo, e non esclude la presenza di una lesione vertebrale che interessi le strutture ossee, fibro-cartilaginee e dei tessuti molli.
Nei politraumatizzati, pertanto, deve sempre essere sospettata la presenza di lesioni del rachide, fino a dimostrazione contraria, in presenza o meno di segni e deficit neurologici: alcune statistiche riportano percentuali anche del 40% di assenza di deficit neurologici in presenza di instabilità di colonna. Nel 5%, circa, dei traumatizzati cranici coesiste una lesione vertebrale, mentre, viceversa, nei traumatizzati vertebro-midollari, il 25% di essi presenta almeno un trauma cranico lieve. Le percentuali di lesione del rachide, suddivise per distretto, presentano l’interessamento, nel 55% dei casi, del tratto cervicale, mentre il rimanente 45% è suddiviso equamente tra il livello toracico, il passaggio toraco-lombare ed il segmento lombo-sacrale. Da queste considerazioni, deriva l’assoluta necessità di evitare un’inadeguata immobilizzazione ed eccessive manipolazioni: nel 5%, circa, dei politraumatizzati, è segnalata l’insorgenza di sintomatologia neurologica o il peggioramento dei sintomi in atto, dopo l’ingresso nel Dipartimento di Emergenza, quale conseguenza di inadeguata immobilizzazione o errata manipolazione o, infine, per ischemia ed edema midollare progressivo.
I meccanismi fisiopatologici di lesione del rachide sono essenzialmente quattro:
il caricamento assiale, per urto della testa contro un ostacolo e sua compressione prodotta della restante massa corporea ancora in movimento, o per compressione della colonna lombare contro il segmento sacrale da parte del tronco e della testa in una caduta di piedi (compressione delle curve ad S della colonna);
l’iperflessione, l’iperestensione, l’iperrotazione con conseguenti lesioni muscolari, legamentose ed ossee e, in genere, danno da stiramento del midollo;
la flessione laterale ed improvvisa, negli impatti laterali del tronco; in questi casi, allo spostamento laterale del tronco e della colonna toracica indotti dall’impatto, non è immediatamente congruente quello della testa: essa rimane ferma fino a quando non viene trascinata dal segmento cervicale del rachide e, poiché il suo centro di gravità è anteriore rispetto alla sua inserzione sulla colonna cervicale, il capo ruota lateralmente in modo violento, con conseguenti lussazioni e fratture;
la distrazione, indotta da un movimento longitudinale del rachide, con conseguente eccessivo allungamento di una parte della colonna, rispetto ad altra rimasta stabile in posizione: la spinta assiale induce stiramento e strappamento del midollo; è tipica negli incidenti da gioco nei bambini e negli impiccati.

Lesioni midollari
Sono suddivise in primarie e secondarie.
Le lesioni primarie sono quelle immediatamente conseguenti all’impatto ed all’applicazione di forze e che inducono una compressione o una lesione diretta da frammento instabile o tagliente di osso, ovvero da interruzione della vascolarizzazione del midollo.
Le lesioni secondarie sono conseguenti ad eventi complicanti il trauma iniziale ed inducono edema, ischemia e spostamento di frammenti ossei.
Il danno mielico si presenta in tipici quadri clinici:
la concussione midollare, temporanea interruzione delle funzioni midollari, in sede distale al punto del trauma;
la contusione midollare, consistente in focolai contusivi ed emorragici nel contesto midollare, con perdita temporanea delle funzioni midollari a valle del punto di lesione; è in genere secondaria a lesioni penetranti o a movimento di frammenti ossei; la gravità è proporzionale all’entità dell’emorragia intramidollare;
l’ischemia midollare, indotta da danno o distruzione della vascolarizzazione del rachide; l’entità e l’estensione del danno ischemico è assai variabile;
la compressione midollare, indotta prevalentemente dall’edema ed è causa di ischemia del tessuto midollare;
la lacerazione midollare, indotta da strappamento o sezione parziale del tessuto; il ripristino della funzionalità è direttamente proporzionale all’entità del danno e può indurre invalidità permanente;
la sezione midollare, completa o incompleta:
nella sezione completa, si verifica l’interruzione completa di tutte le fibre nervose e la conseguente perdita di tutte le funzioni midollari distalmente al trauma; l’edema concomitante non consente un’accurata valutazione del danno funzionale prima che siano trascorse 24 ore dal trauma; la maggioranza di queste lesioni esitano in para- o tetraplegia;
nella sezione incompleta, alcune fibre motorie e sensitive rimangono indenni, con prognosi funzionale meno invalidante; i quadri sindromici più tipici che ne possono derivare sono:
la sindrome midollare anteriore, con perdita delle funzioni motorie e della sensibilità tattile fine, termica e dolorifica, mentre sono conservate la sensibilità profonda, di posizione e vibrazione; è secondaria a compressione o lacerazione da frammento osseo o ischemia da compressione dell’arteria spinale;
la sindrome midollare centrale, secondaria ad iperestensione del tratto cervicale, si manifesta con ipostenia e parestesie agli arti superiori, normale forza agli arti inferiori e disfunzione vescicale di vario grado;
la sindrome di Brown-Séquard, secondaria a lesione penetrante con emisezione midollare; il danno mielico completo è riferito sul lato interessato dal trauma e si manifesta con la perdita delle funzioni motoria e sensitiva di vibrazione, movimento e posizione, mentre controlateralmente, si verifica la perdita delle sensazioni termiche e dolorifiche;
lo shock spinale, quadro neurovascolare di durata variabile e non prevedibile, secondario ad una lesione midollare; neurologicamente si presenta con la perdita dei riflessi e di tutte le funzioni sensitive e motorie, flaccidità e paralisi, distalmente al livello della lesione; i meccanismi fisiopatologici sono molteplici, ma, in particolare, predomina l’interruzione delle fibre simpatiche addette alla vasoregolazione a cui consegue la vasodilatazione distale. Ulteriori segni clinici caratteristici sono l’ipotensione arteriosa, associata a bradicardia e cute calda ed asciutta: tutto ciò è conseguenza della sospensione definitiva dei meccanismi simpatici di compenso che non garantiscono più il mantenimento del controllo del tono vascolare al di sotto del livello della lesione. La vasodilatazione che consegue la perdita delle resistenze sistemiche, determina un notevole aumento del contenitore vascolare: esso induce una ipovolemia relativa, tanto più grave, quanto più craniale è la sede della lesione mielica, una ipoperfusione sistemica, direttamente proporzionale al quadro ipovolemico, l’aspetto caldo ed asciutto della cute. L’insufficiente attività simpatica sistemica provoca, inoltre, bradicardia.

Valutazione
La valutazione segue i canoni della gestione del paziente vittima di un trauma:
1.valutazione della scena, con verifica della sicurezza e determinazione rapida, ma attenta, della natura della situazione e della dinamica dell’evento traumatico;
2.valutazione primaria di ogni paziente, con identificazione delle priorità, sulla base delle criticità cliniche e della disponibilità delle risorse di soccorso e trattamento; devono essere identificate per prime le condizioni pericolose per la vita – pervietà delle vie aeree, efficacia della ventilazione, stabilità del circolo – poi quelle che possono produrre un danno funzionale definitivo, in particolare per gli arti: infine tutte le altre condizioni che non hanno immediata rilevanza vitale o funzionale;
3.la metodologia di trattamento, mutuata dalle linee guida diffuse a livello internazionale, prevedono la contestualità della valutazione e delle manovre di supporto vitale, se le funzioni vitali sono deficitarie.
Frequentemente, valutazione e trattamento non possono essere effettuati prima di una pur parziale movimentazione del traumatizzato: è pertanto necessario operare con estrema cautela e, pur attuando una immediata rapida valutazione della scena e della dinamica dell’evento, occorre mantenere un elevato indice di sospetto in relazione alla possibilità di una lesione del rachide, che potrà essere confermata o esclusa unicamente dalle indagini radiologiche complete espletate successivamente in ambiente ospedaliero.
Qualora, in base al meccanismo lesivo, vi sia anche solo un minimo sospetto di lesione, la colonna del traumatizzato deve essere protetta manualmente e con l’impiego di presidi idonei: la testa deve essere riallineata manualmente in posizione neutra, la colonna cervicale immobilizzata con collare rigido ed ulteriormente protetta dall’immobilizzazione su tavola spinale o con un KED. Ogni movimento necessario per ottenere la completa immobilizzazione va eseguito contestualmente alla protezione manuale del capo, sia in ambito preospedaliero che in quello ospedaliero, all’atto della consegna del paziente.
Utilizzare la dinamica del trauma, specie se indotto da movimento veloce o da impatto ad elevata energia, quale unico criterio per decidere l’immobilizzazione completa del rachide, può apparire semplicistico: la decisione di procedere o meno all’immobilizzazione del rachide di un traumatizzato dovrebbe, in effetti, basarsi sul riscontro di indicatori clinici di lesione midollare, in particolare sulle funzioni sensitive e motorie, sulla presenza di dolore o sensibilità, nonché sull’ attendibilità del paziente. Tuttavia l’affidabilità di queste informazioni può essere inficiata da numerosi fattori: il paziente, infatti, può non avvertire un dolore riferito al rachide per l’intensa sintomatologia algica di una o più lesione associata di altri distretti, quali fratture agli arti, o per ottundimento della sensibilità in seguito ad assunzione di farmaci, droghe ed alcolici o, infine, per altre condizioni ambientali (ipotermia). Non deve essere inoltre sottovalutato che, in ambiente extraospedaliero, l’esecuzione di un esame neurologico approfondito con il rilevamento raffinato e preciso della funzionalità sensitivo-motoria, oltre ad essere assai problematica, comporta necessariamente una discutibile perdita di tempo, sicuramente non utile al paziente in quel contesto.
E’ invece assai più efficace e rapido, procedere all’immobilizzazione sulla base di un’ipotesi consistente di lesione del rachide fondata sulla dinamica, anche quando il paziente sia ritrovato in piedi e deambulante: tale situazione non deve incidere negativamente sulla decisione di immobilizzare la colonna a causa di una sottovalutazione dell’evento traumatico.
Nel trauma spinale chiuso, alcune particolari situazioni si associano ad un elevato sospetto di lesione rachidea e di colonna instabile: gli impatti violenti su testa, collo, tronco e bacino, le violente accelerazioni, decelerazioni e curvature laterali del collo e del tronco, le cadute, specie negli anziani, l’eiezione, il distacco o la caduta da qualsiasi mezzo in movimento. Particolare attenzione è necessaria nei casi di trauma cranico con alterazione del livello di coscienza, se il casco si presenta notevolmente danneggiato, se coesiste un trauma chiuso del torace o al di sopra del piano delle clavicole, se vi sono fratture da decelerazione agli arti inferiori o al bacino e lesioni significative nell’area della colonna vertebrale.
Le cinture di sicurezza e tutti i sistemi di protezione non correttamente utilizzati o nel caso di impatti particolarmente violenti, non escludono a priori la possibilità di una lesione spinale. Negli impatti frontali, ad esempio, il tronco rimane improvvisamente bloccato contro il sedile, mentre la testa, non assicurata, prosegue in avanti la sua corsa, finché, bloccata dalla muscolatura del collo, unitamente alla violenta decelerazione dell’impatto, ruota in basso, urtando con il mento la parete toracica, con un’eventuale ulteriore rotazione verso la spalla fissata dalla cintura: ne consegue l’iperflessione e la rotazione violenta e rapida del collo con la possibilità di fratture da compressione delle vertebre cervicali, dislocazione dei processi articolari e stiramento del midollo spinale. Anche negli impatti laterali e posteriori si può verificare, con varie modalità, un danno mielico.
Nel trauma spinale penetrante, il deficit neurologico tipico si evidenzia, di norma, immediatamente: le lesioni penetranti determinano facilmente un danno diretto lungo la linea di penetrazione e non producono, in genere, l’instabilità della colonna, per ridotto rischio di lesioni ossee o legamentose instabili.