Shock emoraggico

Shock emorragico traumatico : le emorragie maggiori degli arti e del massiccio facciale
Nardi Giuseppe, Cingolani Emiliano, Frattarelli Eufrasia, Savignano Salvatore, Cavaciocchi Ermelinda, Sangiovanni Milena.
Unità Operativa Shock e Trauma, Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini Roma

Introduzione
Nella nostra societa’ il trauma costituisce la prima causa di morte nella popolazione al di sotto dei 40 anni.
Il pesante impatto che questa patologia ha sui soggetti piu’ giovani fa del trauma la causa principale di perdita di anni di vita in generale e di vita lavorativa in particolare, imponendo costi sociali, oltre che sanitari elevatissimi. Inoltre i traumi gravi provocano spesso invalidità e questo fatto ha un ulteriore rilevante impatto sulla spesa sanitaria e socio-assistenziale.
Gli incidenti stradali sono la causa principale di trauma grave in Italia, e secondo i dati preliminari dello studio multicentrico RIT (Registro Italiano Traumi) rappresentano il 65% del totale, seguiti dai traumi da caduta/precipitazione (26%).

Quando si muore per trauma
Nel 1980 Trunkey et Blaisdell analizzarono dei dati retrospettivi riguardo la mortalita’ per trauma nella città di San Francisco nei due anni precedenti. Giunsero così alla conclusione  che i decessi conseguenti a lesioni traumatiche si verificano in uno dei tre periodi temporali successivamente descritti ( Fig.1:Distribuzione trimodale della mortalità). Secondo questa visione “classica”:

  1. Il primo picco di mortalità (circa il 45%) si manifesta nell’ambito di secondi o minuti dall’evento traumatico. Durante questo periodo precoce, la morte è di solito causata da apnea, determinata da gravi lesioni dell’encefalo o del midollo spinale, o da rottura di cuore, aorta e grandi vasi. Pochissimi di questi pazienti possono essere salvati, a causa della gravità delle loro lesioni. Solo la prevenzione può ridurre, in modo significativo, questo picco di mortalità.
  2. Il secondo picco (circa il 30%) si verifica da qualche minuto ad alcune ore dopo il trauma. Il decesso consegue, generalmente ad ematomi subdurali ed extradurali, emopneumotorace, rottura di milza o fegato, frattura del bacino e/o altre lesioni multiple associate a rilevanti perdite ematiche. La “golden hour” del trattamento dopo il trauma è caratterizzata dalla necessità di una rapida valutazione e di un immediato trattamento rianimatorio, principi fondamentali dell’ Advanded Trauma Life Support (ATLS).
  3. Il terzo picco di mortalità (circa il 30%), che si manifesta in un periodo compreso tra vari giorni e settimane dopo l’evento iniziale, è determinato da sepsi ed insufficienza multi-organo. La terapia effettuata in ciascuno dei periodo precedenti influisce sull’evoluzione dei pazienti in questo stadio. Ne consegue che la prima ed anche le altre persone, che trattano successivamente un traumatizzato, hanno un effetto diretto sulla sopravvivenza a lungo termine.

Fig.1 : Distribuzione temporale della mortalità

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A distanza di circa 15 anni, nuove analisi dei dati raccolti nei registri  traumi, evidenziarono un cambiamento di questo trend, con la scomparsa della distribuzione trimodale e l’evidenza di una diversa distribuzione della mortalità: immediata (<1 ora dal momento del trauma) o tardiva (>4 ore dal momento del trauma).
A queste stesse conclusioni sono giunti Autori di diversi Paesi:  Wyatt et al. nel South East Scotland che ha riportato che  il 76% delle morti avviene nella prima ora ed il 17% dopo 4 ore; Sauaia et al. a Denver con circa l’80% di morti nella prima ora e il 10% dopo 4 ore; Di Bartolomeo et al. in Friuli Venezia Giulia con il 60% e 25% rispettivamente.

Fig.2: Andamento della mortalità nelle prime ore dopo il trauma

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Morti evitabili
Gli studi sulla mortalità per trauma sono fondamentali perché servono da specchio della qualità delle cure fornite al paziente in sede pre-ospedaliera ed intraospedaliera e possono ulteriormente condurre a cambiamenti nelle politiche sanitarie e nella legislazione del territorio. e possono ulteriormente condurre a cambiamenti nelle politiche sanitarie e nella legislazione del territorio.

  1. Diversi studi hanno dimostrato come una quota della mortalità intraospedaliera sia costituita da morti prevenibili o parzialmente prevenibili, frutto del mancato riconoscimento di lesioni gravi (missing injuries) e/o di trattamenti sub-ottimali.

A questi errori “clinici” può essere aggiunto l’errore organizzativo quale l’invio del paziente in ospedale non idoneo, l’eccessivo ritardo nei trasferimenti o nell’ accesso in Camera Operatoria (CO).
Per modificare questa situazione e contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione di mortalità ed esiti invalidanti, è necessario un complesso processo di miglioramento sia dell’organizzazione che della qualità della gestione clinica.

Uno studio di Chiara et al. (solo per citare il più recente) sul territorio di Milano nel 2002, dimostra che le più frequenti lesioni non riconosciute sono quelle che causano instabilità emodinamica (emoperitoneo, emotorace, ematoma retroperitoneale, danno al cuore e grossi vasi).

L’ ipovolemia non trattata determina danno di per sé, ma anche peggioramento dello status neurologico e delle sue sequele, come anche sofferenza degli altri apparati.
Numerosi studi confermano che episodi ipotensivi sulla scena del trauma, anche se seguiti da normalizzazione dei valori pressori in ambito ospedaliero, sono predittivi di un aumento della mortalità e/o della necessità di interventi chirurgici a livello toracico o addominale. Uno studio di Shapiro del 2003 dimostra che pazienti che riportano valori di pressione sistolica nella fase pre-ospedaliera inferiore a 90 mmHg hanno 7.5 volte di più  probabilità di morire rispetto a pazienti normotesi, così come hanno 3 volte la probabilità di dover essere sottoposti ad interventi chirurgici rispetto allo stesso gruppo di controllo.

Inoltre una profonda ipotensione arteriosa condiziona il danno neurologico secondario nei pazienti traumatizzati cranici tanto da rendere le possibilità di un buon recupero neurologico o di una moderata disabilità prossime allo zero.

Il rapido riconoscimento dei possibili foci di sanguinamento in un paziente traumatizzato e l’identificazione di strategie chiare e condivise per tentare di arrestare l’emorragia in atto, sono pertanto di fondamentale importanza per permettere il ripristino di un sufficiente trasporto di ossigeno ai tessuti e della stabilità emodinamica.

I Problemi “Emergenti”
Molto spesso i testi di traumatologia e le Linee Guida di gestione dei traumatizzati focalizzano l’attenzione sulle emorragie interne legate a lesione di prenchimi e di grandi vasi. Questo fatto porta spesso a trascurare la gravità e la potenziale letalità delle emorragie esterne (in particolare quelle del massiccio facciale) e delle perdite ematiche legate alle fratture egli arti, specie in caso di crash.

In un recente audit eseguito presso il nostro Ospedale, è emerso che le morti evitabili da lesioni emorragiche degli arti, in particolare nei soggetti anziani, rappresentano la principale criticità del processo di gestione del trauma grave. L’analisi ha documentato come i pazienti deceduti per questa ragione fossero emodinamicamente stabili e coscienti all’ammissione, tanto da essere “triagiati” con un codice colore inferiore al rosso.

Lo scopo di questa presentazione è contribuire a definire una strategia di miglioramento della gestione dei pazienti con emorragie massive degli arti e del massiccio facciale, a partire dalle criticità rilevate nei processi assistenziali del nostro Dipartimento di Emergenza.

-EMORRAGIE  MAGGIORI DAGLI ARTI.
Le ferite penetranti di un arto, possono determinare gravi lesioni arteriose. Un trauma chiuso, che causi una frattura o una lussazione in prossimità di un vaso può contestualmente lederlo. Queste lesioni possono provocare una grave emorragia esterna o nei tessuti molli. Le lesioni complesse degli arti (fratture esposte, scomposte, schiacciamento massivo) si accompagnano spesso ad emorragie importanti sia a carico del distretto arterioso che di quello venoso. Una quota rilevante delle perdite può essere contenuta entro le fasce e risultare pertanto inapparente. Un ematoma in rapida espansione deve essere considerato indicativo di  una grave lesione vascolare.

L’analisi del processo di gestione dei casi ad esito infausto ha messo in luce il ripetersi di errori legati alla sottostima dei rischi di vita rispetto a quelli legati al danno d’organo:  a fronte di lesioni severe, di difficile inquadramento e il cui trattamento richiede un approccio multidisciplinare, i diversi specialisti richiedono singolarmente esami “time consuming” come l’angiografia dei vasi degli arti, o l’esecuzione di radiografie in proiezioni multiple per valutare il danno osseo, senza che si sia provveduto all’emostasi in modo adeguato. Compressione esterna sull’arto e fasciature possono limitare in parte le perdite  ematiche, ma nei traumi complessi con crash, una percentuale molto alta del volume ematico si può raccogliere a livello dei tessuti lesi in tempi relativamente brevi. Nel caso di lesioni massive degli arti inferiori, la scelta tra un approccio terapeutico di chirurgia ricostruttiva e l’eventuale amputazione  è spesso difficoltosa e richiede una valutazione complessa e che non può essere effettuata in modo soddisfacente in Pronto Soccorso. Uno dei fattori che rallenta il processo decisionale, in particolare quando esista l’ipotesi di dover procedere all’amputazione dell’arto, è legato alla necessità di ottenere il consenso del paziente. Molte delle manovre diagnostiche e terapeutiche sono insopportabilmente dolorose se eseguite su paziente sveglio. E’ però difficile ottenere una sufficiente analgesia conservando la coscienza, in quanto in queste situazioni le anestesie periferiche, con l’eccezione del blocco del plesso femorale, sono spesso inutilizzabili. La necessità di disporre di elementi valutativi per informare il paziente delle necessità terapeutiche, condiziona e rallenta il processo decisionale esponendo il paziente stesso a rischi di vita.

L’analisi dei processi assistenziali relativi ai  pazienti deceduti per emorragia dagli arti inferiori ha permesso di evidenziare le seguenti criticità:

  • Eccessivo tempo di valutazione in Pronto Soccorso in presenza di emostasi inadeguata ad arrestare l’emorragia
  • Sottovalutazione delle perdite ematiche
  • Mancata definizione delle priorità tra gli specialisti intervenuti (anestesisti, ortopedici, chirurghi, chirurghi vascolari)
  • Ritardata definizione della Camera Operatoria di destinazione, la cui scelta era funzione della strategia terapeutica adottata.
  • Maggior attenzione al danno d’organo che ai rischi di vita.
  • Tendenza da parte dei diversi specialisti ad evitare di assumersi la responsabilità di una eventuale decisione di amputazione dell’arto pur in presenza di immediato rischio di vita e impossibilità di emostasi.

Sulla base di questa analisi è stato rivisto l’intero Processo Clinico Assistenziale (PCA) del trauma grave ed è stato previsto di:

  • Assegnare il codice rosso di triage a tutti i pazienti con lesioni massive anche di un solo arto, indipendentemente dai parametri clinici.
  • Attivare sempre il trauma team nell’ambito del quale il team leader ha la responsabilità di definire le priorità (stabilita da un atto della Direzione Sanitaria).
  • Far accedere comunque in tempi brevi il paziente a una camera operatoria dedicata all’emergenza con carattere “multifunzionale”, rimandando le valutazioni sulla eventuali necessità di tecnologie specialistiche ad una fase successiva.
  • Far convergere “d’obbligo” presso questa camera operatoria tutti gli specialisti interessati.
  • Se indicato, informare il paziente dell’effettivo rischio di vita e della possibilità di dover ricorrere ad amputazione dell’arto, ottenendo un consenso informato se le condizioni del paziente lo consentono: procedere quindi all’esame clinico-strumentale in anestesia generale prevedendo l’utilizzo di una tecnica compatibile con la situazione emodinamica e la previsione di un intervento prolungato.

Il fatto di ricondurre il processo decisionale all’interno di una camera operatoria, in un ambito  dove è possibile far seguire alle valutazioni, eventuali atti terapeutici, si traduce in una netta accellerazione dei processi decisionali e migliora i margini di tutela del paziente.

L’obiettivo prioritario è quello di ridurre significativamente l’emorragia distale durante il tempo necessario a permettere  ai diversi specialisti di eseguire le valutazioni necessarie a definire la strategia terapeutica e procedere al controllo dei foci emorragici in sede di lesione.

Con questa finalità abbiamo adottato una strategia che prevede come primo tempo l’isolamento dell’arteria femorale a livello della piega inguinale e il suo temporaneo clampaggio con laccio. Abbiamo trattato recentemente con questa strategia 3 pazienti con lesioni gravissime degli arti inferiori coinvolgenti arterie distali e shock emorragico grave. In tutti e 3 i pazienti è stato possibile ottenere la riduzione dell’emorragia, seguita in 2 casi da chirurgia ricostruttiva, mentre in un caso si è deciso di procedere ad amputazione dell’arto.

EMORRAGIA MASSIVA DA FRATTURE DEL MASSICCIO FACCIALE:
Le fratture complesse el massiccio facciale sono lesioni frequentemente associate ai traumatismi cranici più gravi. Comportano spesso emorragie importanti la cui gravità rischia di essere sottovalutata a fronte di quella delle concomitanti lesioni endocraniche. Data la localizzazione e la frequente associazione con alterazioni anatomiche rilevanti conseguenti al trauma, le emorragie a partenza da vasi della faccia sono spesso difficili da arrestare. In casi estremi l’emorragia dal massiccio può essere causa di morte per exanguinatio.

Nella fase preospedaliera l’unica misura di una certa efficacia accanto alla compressione dei foci esterni, è rappresentata dal tamponamento del rinofaringe tramite il posizionamento in quella sede attraverso il naso, di un catetere vescicale. La cuffia del catetere (o dei cateteri, dato che la manovra deve essere spesso eseguita bilateralmente) deve essere gonfiata con almeno 20-30 ml di acqua o aria e successivamente va assicurata una trazione continua sui cateteri stessi verso l’esterno. In questo  modo si esercita una compressione sui foci emorragici analoga a quella ottenibile con il tamponamento interno.
Tamponamento interno ed esterno sono le tipiche procedure di “packing” del rinofaringe e delle cavità nasali eseguibili nella prima fase intra-ospedaliera. Queste manovre sono spesso sufficienti ad arrestare o limitare l’emorragia, ma in alcuni casi non bastano.

Le emorragie potenzialmente mortali siano rare (nello studio RIT risultano 4 casi di emorragie con AIS-faccia = 4). In questi pazienti, dove le esigenze di una emostasi salvavita sono prevalenti rispetto a quelle della diagnostica intracranica, deve essere adottato lo schema previsto in precedenza. I pazienti vanno portati rapidamente in camera operatoria e, in assenza di efficacia delle altre misure terapeutiche, deve essere presa in considerazione la legatura della carotide esterna.

Conclusioni:
Nell’ambito dei percorsi clinico assistenziali dei traumatizzati gravi, nel definire le priorità, non devono essere trascurate lesioni potenzialmente fatali come le emorragie massive da faccia e arti inferiori. Queste lesioni richiedono un trattamento rapido che deve precedere la diagnostica completa. E’ opportuno che la valutazione approfondita (secondary survey) sia eseguita con approccio multidisciplinare, all’interno di una camera operatoria.

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Bibliografia

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