Sedazione nel neurotraumatizzato

Dott.Giuseppe Altamura
U.O. Anestesia e Rianimazione P.O. Teramo

La sedazione rappresenta un aspetto fondamentale nell’unità di terapia neurointensiva.

Anche se la strategia può essere molto simile con la terapia intensiva, le caratteristiche dei pazienti in terapia neurointensiva  offrono altri obiettivi e qualche indicazione specifica.

L’obiettivo primario di una unità di terapia neurointensiva, è quello di mantenere un’adeguata pressione di perfusione cerebrale, controllare la pressione endocranica e mantenere un’adeguata pressione arteriosa media.

Tutto ciò serve a prevenire il  danno secondario che si realizza quando c’è una discrepanza tra flusso ematico e richieste metamoliche cerebrali (CBF/CMRO2).

I fattori determinanti possono essere: 1) aumento della ICP, 2) ipotensione o ipertensione sistemica, 3) ipossiemia e ipercapnia, 4) alterazioni endocraniche.

Parametro fondamentale da monitorare  è la Pressione di perfusione cerebrale ( CPP = MAP – ICP )

Che, in condizioni di alterata autoregolazione deve essere sempre superiore ai valori critici di ischemia ( 50-60 mmHg ).

La sedazione nel controllo della CPP entra a diversi livelli, direttamente  riducendo le richieste metaboliche cerebrali, indirettamente permettendo altre manovre terapeutiche come la ventilazione artificiale ed evitando i pericolosi aumenti di ICP durante le manovre di nursing .

Tutti i farmaci  impiegati per la sedazione hanno effetti depressori sull’apparato cardiovascolare, la diminuzione della MAP che ne deriva può far scendere la CPP  sotto i valori di ischemia con effetti devastanti per l’encefalo traumatizzato.

Si rende perciò indispensabile un monitoraggio  di minima che deve comprendere ICP, pressione arteriosa cruenta, CVP, a questi parametri  è utile aggiungere la misurazione continua della SJO2 e qualche volta dell’EEG.

L’apporto volemico deve essere ottimale, per supportare MAP pericolosamente basse si possono somministrare farmaci inotropici e/o vasopressori.

Nella nostra esperienza clinica, il farmaco che si è rivelato più adeguato è stata la Dobutamina, infatti associa aumenti della MAP a ICP stabili o diminuite con aumento netto della CPP migliore rispetto alle amine simpaticomimetiche ( Dopamina e Noradrenalina ) che al contrario, ad aumenti di MAP, fanno seguire aumenti anche della ICP.

I farmaci  per la neurosedazione devono  poter consentire delle cosidette “finestre terapeutiche” per una rapida valutazione dello stato neurologico e conoscere l’evoluzione delle lesioni endocraniche, pertanto, devono essere a rapida metabolizzazione né avere metaboliti attivi che possono dare fenomeni di “rebounds”.

Oramai l’interesse internazionale è tutto incentrato nell’uso del Propofol o del Midazolam da soli o più spesso associati ad un oppioide a rapida metabolizzazione come il Remifentanil.

L’effetto ipotensivo del Propofol e del Midazolam è presente sia nella somministrazione per boli che nella infusione continua con risposta modulata da altri fattori quali il grado basale di ICP e dalla dose di farmaco.

L’azione ipotensiva cerebrale si manifesta in caso di ipertensione endocranica già a dosi che non provocano significative modificazioni della MAP, lasciando quindi ampi margini di sicurezza  sia nell’intubazione d’emergenza sia quando si usano piccoli boli durante le manovre di “nursing” che potrebbero provocare aumenti critici di ICP.

L’azione ipotensiva di questi farmaci sarebbe dovuta  in massima parte ad una riduzione del CBF per vasocostrizione, ad una diminuzione del CMRO2 da rallentato metabolismo e solo molto parzialmente ad una diminuzione della MAP, con l’unica accortezza di una ottimale gestione della volemia.

I Barbiturici, largamente usati in passato, per  la lunga emivita ormai sono quasi completamente scomparsi, conservano un loro interesse soprattutto nelle ipertensioni endocraniche incontrollabili, sono peraltro associati ad una maggiore incidenza di sepsi e distress respiratorio.

In conclusione, sedativi ed analgesici sono utilizzati per trattare e prevenire gli aumenti della pressione endocranica e per ridurre il fabbisogno metabolico cerebrale, per questa azione migliorano l’autcome del traumatizzato cranico.

La scelta del farmaco deve ricadere su  quelli a più breve emivita  e con meno effetti collaterali, attualmente l’associazione Propofol o Midazolam con Remifentanil  è quella più riportata nella letteratura internazionale.

____________________________

BIBLIOGRAFIA
1)     Zattoni J., Siani C., Rossi A., Campora D., Bozzo N. : “Effetti pressori endocranici e arteriosi sistemici di 0,35 e 0,80 mg/kg E.V. di Diprivan durante neuroanestesie in ventilazione controllata.” III Riunione Italo-Francese di Neuroanestesie e Rianimazione SIIARTI, Capri 16-17/5/1986

2)     Beller JP, Pottecher T, Lugnier A, Maugin P, Otteni JC. Prolonged sedation with Propofol in ICU patients: recovery and blood concentration changes during periodic interruptions in infusion. Br Anesth 1988;61:583-8.

3)     Papazian L., Albanese J., Thirion X., Durbec O., Martin C.Effect of Midazolam on intracranial pressure mean arterial pressure and heart rate in head-injured patients. Anesthesiology 1992;77:A204.