L’apporto essenziale del microbiologo
Patrizia Pecile, Pierluigi Nicoletti
Negli ultimi anni l’emocoltura ha assunto un’importanza crescente soprattutto nei reparti ad alto rischio in seguito all’aumentata incidenza delle sepsi legate essenzialmente ad un incremento dei pazienti immunocompromessi e al crescente utilizzo di manovre invasive. Nonostante questo, l’esame emocolturale ha una richiesta relativamente scarsa rispetto alla reale importanza diagnostica. Inoltre questa indagine presenta una serie di criticità che possono essere superate solo con un rapporto stretto e continuo tra il clinico ed il microbiologo. E’ infatti l’esame microbiologico che forse più degli altri risente della fase preanalitica in quanto sappiamo come un risultato ottimale possa essere raggiunto solo in seguito ad una fase di prelievo corretta nei tempi, nei volumi di sangue e nelle tecniche di asepsi. Il microbiologo deve inoltre mettersi in grado di utilizzare le tecnologie migliori e come qualità di mezzi di coltura e come tecniche di evidenziazione dello sviluppo batterico. Fondamentale rimane la collaborazione tra laboratorio e reparto in caso di positività. Come tutti gli esami colturali anche l’emocoltura positiva pecca di tempi di esecuzione e di refertazione “ troppo lunghi” per il clinico. E’ importante quindi che su tutti gli esami positivi il microbiologo esegua preparati microscopici il cui esito venga immediatamente trasmesso al clinico per offrirgli la possibilità di una terapia empirica ragionata e quindi “più mirata”. In caso di positività è inoltre opportuno allestire quantomeno prove di sensibilità direttamente dal materiale senza aspettare la crescita batterica in piastra in modo da fornire al curante, a 24 ore dalla segnalazione di positività, un antibiogramma preliminare. Ma la collaborazione tra laboratorio e reparto continua anche nell’interpretazione del risultato, nell’identificare i falsi positivi ed i falsi negativi.
Un problema a se è rappresentato infine dalle emocolture per la ricerca di miceti: sappiamo infatti come sia difficile la diagnosi di micosi invasiva. La scarsa sensibilità dell’esame può essere lagata ad una serie di variabili come la sede dell’infezione, la specie fungina e la fugacità del passaggio ematico dei miceti. Sappiamo però che nel caso di fungemia la positività colturale è importantissima perché con l’identificazione di specie è possibile instaurare una terapia sufficientemente mirata. Il laboratorio quindi deve mettersi in grado di utilizzare anche in questo caso terreni di coltura specifici e sistemi di identificazione capaci di arrivare sempre a livello di identificazione di specie.