La tracheostomia percutanea

LA TRACHEAOTOMIA PERCUTANEA IN TERAPIA INTENSIVA: INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI.
Flavia Petrini*, Lucia Liberatore, Mirella Scoponi.
* Università G.d’Annunzio, Chieti – Pescara
Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore – Dipartimento di Emergenza-Urgenza P.O. SS.Annunziata – ASL Chieti

La tracheotomia è oggi considerata una manovra irrinunciabile nella gestione del paziente quando si debba ricorrere ad assistenza meccanica ventilatoria e/o si debba praticare un controllo della via aerea per lunghi periodi o definitivamente [1,27].

Negli ultimi anni il ricorso a nuove tecniche percutanee, dilatative e non, ha permesso di allargare le indicazioni, estendendo la procedura ad un numero sempre maggiore di pazienti in area critica [4, 33, 35-41, 60, 64-66].

La dizione tracheostomia si identifica oggi con quella di tracheotomia, termine sempre corretto quando non si voglia intendere un’apertura (stoma) permanente. Le metodiche percutanee offrono molti vantaggi agli intensivologi rispetto alle tecniche chirurgiche tradizionali, trattandosi di una procedura il cui tempo di esecuzione è minore, gravata da un diminuito tasso di infiammazione e infezioni dello stoma e di complicanze tardive (le stenosi tracheali, un tempo erano considerate rischio non remoto), senza considerare il migliore risultato estetico dopo il decannulamento, elemento da non sottovalutare nell’ottica di un recupero rispettoso anche della soddisfazione del paziente.

La scelta terapeutica di eseguire la tracheotomia è quindi supportata da un insieme di indicazioni che hanno come fine ultimo il beneficio clinico del paziente, ma tendono anche ad una maggiore razionalizzazione delle risorse: il risparmio di risorse sanitarie è un altro vantaggio delle tecniche percutanee, che vengono praticate al letto del paziente come per altro potrebbero essere anche quelle chirurgiche, ma non richiedono intervento di altri specialisti e quindi possono essere programmate in rapporto alle esigenze del paziente e della gestione di reparto [31,32,45]. Le indicazioni alla tracheotomia comprendono:

–         ostruzione alta delle vie aeree (ad esclusione dell’emergenza asfittica)

–         trauma facciale maggiore

–         previsione di assistenza meccanica ventilatoria protratta, o con prolungato weaning (per cause neurologiche, respiratorie o di altra natura)

–         necessità di proteggere dall’inalazione e migliorare la toilette delle vie aeree

–         maggiore comfort del paziente cosciente

–         riduzione dell’utilizzo di farmaci sedativi per alleviare il fastidio da tubo tracheale (TT) orale o nasale

–         migliore igiene del cavo orale libero da TT

–         facilitazione della ripresa dell’alimentazione orale e della comunicazione

–         riduzione dei fattori di rischio di VAP.

La tracheotomia semplifica il nursing, riduce i danni da decubito del tubo orotracheale sulla laringe e il contemporaneo recupero della funzione deglutitoria e fonatoria [2,3].

Il timing oggi è considerevolmente inferiore rispetto ad un tempo, dato per accertato che la permanenza del TT comporta un’azione traumatica ed infiammatoria dei tessuti, interrompe le normali difese anatomiche e fisiologiche contro l’aspirazione, creando una soluzione di continuo tra le vie aeree superiori e la trachea, elimina il riflesso della tosse oltre a permettere la formazione di “reservoir” sottoglottici contenenti secrezioni ricche di agenti batterici patogeni, che possono quindi venire aspirate in trachea [5-8, 28, 29]. L’eventuale deposizione delle secrezioni sul biofilm del tubo endotracheale può diventare fonte di disseminazione degli agenti batterici nel polmone attraverso l’azione del ventilatore e questi elementi sono alla base della polmonite nosocomiale da ventilazione (VAP) [14, 17-26, 30, 42-53]. L’incidenza di VAP viene stimata tra il 5-50% dei pazienti intubati ed è associata ad una mortalità compresa tra il 13-55% in base all’agente infettante [14, 24, 26]. Molti Autori ritengono che il passaggio dall’intubazione endotracheale alla tracheotomia possa influenzare l’incidenza di VAP, riducendola; infatti l’esecuzione precoce della tracheotomia faciliterebbe lo svezzamento ventilatorio attraverso la riduzione della sedazione, aumentando i giorni liberi dal ventilatore nei primi 28 giorni e conseguentemente diminuendo l’esposizione agli agenti infettivi che potrebbero generare un’infezione delle vie respiratorie [9,10, 27-30, 61].

La conseguenza di tutto ciò si potrebbe tradurre in una ridotta degenza in ICU, con conseguenze positive che non puntano certo solo al controllo della spesa, ma soprattutto alla riabilitazione del paziente o, quando ciò non sia possibile, al trasferimento in ambienti meno gravati dai rischi che tale degenza comporta.

Se però da un lato tutti gli Autori concordano sulla necessità di passare alla tracheotomia quando il paziente richiede un’assistenza ventilatoria protratta nel tempo (o permanente), non si riscontra ancora concordanza sulla scelta del momento più opportuno per adottare tale procedura [4-8]. La Consensus Conference on Artificial Airways in Patients Receiving Mechanical Ventilation del 1989 costituisce ancora oggi un punto di riferimento e suggerisce di non protrarre l’intubazione tracheale oltre 7 giorni e di eseguire la tracheotomia  nel caso in cui non si preveda l’estubazione entro i primi 21 giorni. Naturalmente alla decisione partecipano fattori quali le condizioni cliniche difficilmente prevedibili, patologie di base, stato di coscienza, fattori infettivi e la precarietà del paziente critico [9, 10, 61].

Come sempre più spesso sottolineato molti Autori occorrerebbe un maggior numero di trials randomizzati e controllati (RCTs) per poter stabilire il timing migliore, per valutare se l’esecuzione precoce della tracheotomia possa effettivamente garantire dei vantaggi al paziente affetto da insufficienza respiratoria acuta che necessita di ventilazione meccanica prolungata, ma soprattutto per poter decidere quale sia la tecnica più sicura ed indicata, non solo fra quelle percutanee, ma anche rispetto alla tecnica chirurgica [3, 11-13, 55-57, 64, 65, 66]. I numerosissimo lavori reperibili (dal 1985 alla fine del 2005 se ne possono contare più di 520!), sono troppo diversi fra loro per disegno e metodologia di raccolta dati per consentire di trarre conclusioni assolute: i bias sono legati alle casistiche spesso limitate, al disegno spesso non prospettico, alla definizione delle complicanze spesso arbitraria, alla selezione dei pazienti troppo diversi (è indubbio che l’evoluzione del giovane traumatizzato sia diversa dal BPCO riacutizzato e che la durata della precedente intubazione abbia grande peso!), al follow up spesso incompleto, per non parlare del rilievo che può avere la diversa esperienza degli operatori su morbilità ed anche mortalità. Le tre metanalisi sui lavori prospettici da tutti citate, se da un lato possono far luce sugli elementi principali, sono anch’esse  da leggere criticamente per i bias della letteratura che citano ed i vizi di interpretazione che possono generare [54-57].

L’analisi della letteratura è resa ancora più complessa dalla diversa ottica con la quale si confrontano le tecniche a seconda del tipo di estrazione degli AA: gli Otorinolaringoiatri ed i Pneumologi sono più attenti ai problemi che una tracheotomia non chirurgica può comportare in un reparto non monitorizzato; gli Intensivologi non sono tanto preoccupati dal rischio di una decannulazione accidentale (cosa più difficile o comunque sotto controllo in ICU), quanto dalla necessità di non protrarre troppo l’intubazione tracheale e di trovare una via utile ad accelerare lo svezzamento dal ventilatore, usando una tecnica semplice, da attuare al letto del paziente, che non aumenti i rischi di infezione delle vie aeree.

La carenza di evidenza della letteratura sulla capacità della tracheotomia di prevenire VAP e HAP, ha spinto a disegnare uno studio italiano randomizzato, controllato e multicentrico sui pazienti affetti da insufficienza respiratoria acuta per i quali si prevede, in base alla Consensus Conference on Artificial Airways in Patients Receiving Mechanical Ventilation del 1989 [9], una necessità di ventilazione meccanica superiore a 21 giorni. Lo “Studio ELT” si propone di valutare l’efficacia della tracheotomia precoce nel ridurre le complicanze maggiori del ricovero in Terapia Intensiva (End-point primario: ridurre l’incidenza di VAP), puntando come End-point secondari ad aumento dei giorni liberi dal ventilatore, riduzione della somministrazione di sedativi e riduzione della somministrazione di antibiotici [59].

Gli Specialisti in Anestesia e Rianimazione italiani hanno da tempo abbracciato la tecniche percutanee pur avendo in molti casi praticato anche quelle chirurgiche; la tendenza sembra essere sempre meno la scelta della tecnica chirurgica in Sala Operatoria, limitata ai casi che vengono citati come controindicazione (più relative che assolute) alle prime:

–         età pediatrica

–         coagulopatia gravissima non correggibile (INR < 1,5)

–         instabilità della PIC.

Alcune di queste condizioni potrebbero per altro controindicare anche la tecnica chirurgica, ma ovviamente occorre valutare rischi e benefici per ogni singolo paziente.

Come controindicazioni alle tecniche per cutanee vengono inoltre citate:

–         grave obesità

–         anomalie anatomiche con landmarks poco riconoscibili o vascolarizzazione della zona da trafiggere

–         infezione della zona del collo

–         tracheomalacia

–         TT protratta da lungo tempo

–         BPCO e/o necessità di tracheotomia definitiva

–         Urgenza.

Casi estremi sui quali si potrebbe discutere (anche se è difficile che i soggetti ricoverati in ICU non siano già intubati), sono i casi identificati come intubazione difficile che necessitano di tracheotomia non in urgenza: non trattandosi di necessità di accesso rapido il paziente viene in genere tracheostomizzato chirurgicamente da sveglio, ma tecniche combinate di fibroscopia e presidi extraglottici potrebbero consentire anche di lavorare, in sedazione profonda/anestesia generale e tecniche per cutanee, mantenendo limiti di sicurezza. Va comunque chiarito che servono monitoraggi accurati, competenze molto approfondite in queste tecniche e va sempre considerata la possibilità di dover convertire la tecnica in chirurgica per urgenza: non si ritiene quindi raccomandabile avventurarsi in terreni a maggior rischio, per i quali si rimanda comunque alle raccomandazioni per la gestione delle vie aeree difficili ed ad una più approifondita analisi dei vantaggi dei presidi extraglottici durante le procedure percutanee [58,67,68].

La tracheotomia costituisce un obiettivo formativo caratterizzante inserito nel “core curriculum” e fra gli skills delle Scuole di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione non solo in Italia, ma anche a livello europeo. Mentre però per formazione e CME sulle tecniche di gestione delle vie aeree sono disponibili manichini e simulatori sempre più sofisticati, manca un percorso adeguato per apprendere le tecniche trachotomiche percutanee, la cui pratica in clinica rimane quasi l’unica possibilità di apprendimento, con le difficoltà che comporta non voler esporre il paziente a rischi da inesperienza. Non va inoltre dimenticato che se per uno Specialista in Anestesia e Rianimazione è necessario acquisire competenza nelle tecniche percutanee e  possedere anche una esperienza di chirurgia di minima per far fronte ai piccoli imprevisti, per uno Specialista in Otorinolaringoiatria il mantenimento della formazione alla tecnica prevede un certo numero di pratiche, che viceversa si stanno riducendo; come al solito la collaborazione multidisciplinare dovrebbe essere la soluzione ragionevole da perseguire, anche se difficile da attuare per i problemi organizzativi noti a tutti [57, 60, 62, 63, 66].

In conclusione, volendo riassumere desumendo dalla letteratura più recente alcune raccomandazioni utili all’approccio tracheotomico percutaneo in ICU, si sottolinea l’importanza di:

– acquisire la competenza sotto la guida esperta di un tutor e prevedere la necessità di acquisire manualità anche in piccole manovre chirurgiche (dall’emostasi alla revisione chirurgica dell’accesso)

– valutare le caratteristiche del paziente e considerare la prognosi della tracheotomia prima di scegliere tecnica (definitiva o temporanea) e cannula definitiva

– prestare attenzione alla posizione del capo ed ai rischi dell’iperestensione

– programmare l’utilizzo del FOB per il controllo in diretta della procedura, ma anche nel follow up dello stoma, sia in reparto che a posteriori

– rispettare le più rigorose norme di asepsi

– porre attenzione alle tecniche di anestesia e di ventilazione durante la procedura

– prestare attenzione ai particolari che riducono i rischi di complicanze (centralità dell’accesso, limitazione dell’incisione, corretta preparazione della cannula, attenzione alla rottura degli anelli…)

– curare le procedure di nursing e broncoaspirazione, con attenzione alla prevenzione della VAP

– prestare attenzione alla scelta della cannula al momento del cambio e ai rischi di decannulazione spontanea, specie se si prevede il trasferimento in altro reparto non controllato.

Oltre a ciò, in considerazione della difficoltà di risalire al tipo di tecnica adottata nei pazienti sopravvissuti dopo il trasferimento da una ICU e che verranno poi seguiti da altri consulenti, si sottolinea come sarebbe opportuno rilasciare al paziente una descrizione per sommi capi della tecnica attuata, della cannula inserita e degli eventuali inconvenienti verificati, elementi di solito registrati in cartella ma che non emergono facilmente alle revisioni a distanza delle casistiche.

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