La Analgo-Sedazione

La Analgo-Sedazione in Terapia Intensiva
G. Mistraletti

Istituto di Anestesiologia e Rianimazione,Università degli Studi di Milano, Azienda Ospedaliera San Paolo – Polo universitario

Introduzione
Il controllo dell’ansia e dell’agitazione, la riduzione della reazione catabolica da stress, l’adattamento alla ventilazione meccanica e alle manovre invasive necessarie a salvaguardare gli equilibri vitali, la minimizzazione del rischio di autorimozione dei presidi invasivi rappresentano le indicazioni alla sedazione farmacologica nel paziente di terapia intensiva1-3. Numerosi sono però gli effetti collaterali indesiderati, legati all’impatto emodinamico, all’interferenza con il processo di weaning ventilatorio, al possibile prolungamento della degenza in terapia intensiva, all’insorgenza di tachifilassi e dipendenza, ed ai costi economici. Nonostante siano numerosi i farmaci proposti ed utilizzati, non è stato individuato un farmaco decisamente superiore agli altri, il più simile possibile al farmaco ideale. Da ciò deriva l’uso dei farmaci più disparati e la frequente assenza di protocolli di sedazione, con terapie spesso improvvisate4.

Nel 1999 il gruppo GIVITI5 ha valutato, con uno studio prospettico osservazionale, la pratica corrente in 45 terapie intensive italiane. Sono stati raccolti e analizzati 388 pazienti critici, per un totale di 2115 giornate di TI. Si è globalmente evidenziato un basso uso della terapia sedativa e/o analgesica, presente solo nel 54.4% delle giornate, nonostante la gravità della popolazione selezionata (tutti i pazienti ricevevano un alto livello di cure intensive), in particolar modo nei pazienti con ALI/ARDS e con problematiche chirurgiche addominali. A ciò si associava il mancato utilizzo di protocolli di terapia (scelta del farmaco, modalità di somministrazione) e monitoraggio del livello di sedazione. Propofol (55.7% dei casi) e benzodiazepine (Midazolam, 22.2%; Lorazepam, 6.9%) sono risultati i farmaci più usati.

Nel 2002 sono state pubblicate le linee guida dell’American College of Critical Care Medicine sulla sedazione del paziente critico in terapia intensiva3. Queste linee guida, che ribadiscono la necessità di garantire un’adeguata sedazione ed analgesia al paziente, prevedono di:

1.       Identificare e trattare eventuali cause di agitazione (dolore, ipossia, ipoglicemia, astinenza da farmaci, …)

2.       Utilizzare protocolli o algoritmi di sedazione

3.       Definire a priori l’obiettivo di sedazione

4.       Utilizzare scale adeguate di valutazione (Ramsay, SAS, MAAS, VICS, RASS, …)

5.       Controllare ripetutamente il livello di sedazione (valutazione preferibilmente infermieristica)

6.       Eseguire giornalmente una “finestra” sedativa (per evitare fenomeni di accumulo)

7.       Ridefinire costantemente gli obiettivi di sedazione

A seconda delle situazioni cliniche, i farmaci consigliati sono:

1.       Sedazione rapida: Midazolam o Diazepam (Propofol troppo ipotensivo)

2.       Sedazione a breve termine: Midazolam (migliore rispetto a Propofol e Lorazepam)

3.       Se necessità valutazione neurologica: Propofol (risveglio più rapido)

4.       Sedazione a lungo termine: Lorazepam ev (risveglio più prevedibile, costi inferiori)

5.       In caso di delirio: Aloperidolo

La sedazione enterale nel paziente critico
Nonostante sia evidente che la via enterale è rapidamente utilizzabile per la nutrizione del paziente critico6, nelle linee guida americane3 non è neppure preso in considerazione l’uso della via enterale. Oltre alle due pubblicazioni del nostro gruppo di ricerca7,8, solo due lavori (uno in pazienti pediatrici ed uno su politraumatizzati)9,10 riportano il possibile uso di Lorazepam per via enterale. I vantaggi di una sedazione enterale sono però molteplici, come la ridotta interferenza sullo svezzamento e sulla durata della degenza, ed i minori effetti collaterali e costi.

Nella pubblicazione del 20058, sono state stata valutate prospetticamente la fattibilità e l’efficacia di un protocollo di sedazione entrale a medio/lungo termine in un gruppo di pazienti di terapia intensiva ad alta criticità ventilati meccanicamente per almeno 4 giorni e che necessitavano di sedazione. Come sedativo principale è stato utilizzato l’Idrossizina (ATARAX, UCB Pharma) per via entrale, farmaco ampiamente utilizzato in psichiatria ed in preanestesia per le proprietà sedative, che, a differenza delle benzodiazepine, raramente provoca dipendenza e tolleranza. Obiettivo del protocollo era la sospensione precoce della terapia sedativa endovenosa entro le prime 48 ore, mantenendo la sola terapia enterale.

Il livello di sedazione desiderato (descritto utilizzando la scala di Ramsay11) veniva deciso ogni mattina in accordo fra medici ed infermieri, in base alle condizioni cliniche del paziente. Compatibilmente con queste ultime, l’obiettivo di riferimento era un paziente sveglio e tranquillo. Per favorire l’adattamento alla ventilazione meccanica abbiamo sempre privilegiato modalità di ventilazione assistita rispetto a quella controllata. Il valore di Ramsay è stato valutato tre volte al giorno. Un giudizio più complessivo, comprendente la tolleranza alle manovre diagnostico/terapeutiche ed alla ventilazione, veniva inoltre dato ogni mattina dal personale infermieristico sulla base delle 24 ore precedenti. Nell’analisi sono state considerate solo le giornate con assistenza respiratoria invasiva.

      Sono stati arruolati 42 pazienti con un totale di 577 giornate di ventilazione (escludendo le prime 48 ore in cui la terapia endovenosa era prevista da protocollo). La durata media della ventilazione è stata di 15.7±15.6 giorni

I sedativi endovenosi sono stati sospesi in 38 dei 42 pazienti entro la quarta giornata dall’ingresso in TI. In 4 casi non è stato possibile sospendere la sedazione endovenosa ed in ulteriori 7 pazienti questa è stata ripresa per l’aggravarsi delle condizioni generali. Una sedazione enterale “pura” è stata utilizzata nel 74.2% delle giornate complessive, e nel 94.2% delle giornate con un Ramsay richiesto di 2 (paziente sveglio e tranquillo). Le giornate di sedazione endovenosa pura sono state 44 (7.6%), nelle altre è stata somministrata una sedazione mista.

Il dosaggio medio dei farmaci endovenosi, quando utilizzati, è stato di 57.7±65.1 mcg/kg/h per il  Midazolam, e 1.13±0.70 mg/kg/h per Propofol e 19.9±11.4 mcg/kg/h per il Lorazepam, ben al di sotto di quanto riportato in letteratura3. L’Idrossizina è stata usata a 8.2±4.0 mg/kg/die.

Durante trattamento enterale puro, il Ramsay osservato è risultato inferiore al richiesto (paziente più sveglio) nell’11.6% dei casi, e solo nel 7.3% delle valutazioni è stato riferito un paziente ansioso, agitato e/o irrequieto. Non è stata osservata una sostanziale differenza nell’efficacia della sedazione tra giornate condotte in sedazione enterale e giornate in cui sono stati utilizzati farmaci endovenosi.

Il costo medio giornaliero dei soli farmaci, ai dosaggi da noi utilizzati, è stato di 40.60 e 27.76 euro per Propofol  e Midazolam, rispettivamente, e di 2.57 euro per l’Idrossizina.

La terapia ansiolitica con Idrossizina per via entrale ha garantito adeguati livelli di sedazione nella maggioranza dei pazienti studiati. Infatti solo nel 20% delle giornate analizzate è stato necessario l’uso di sedativi endovenosi. Queste sono risultate a carico soprattutto di un sottogruppo di pazienti più gravi (shock settici, trattamenti addominali aperti), sottoposti ad una terapia più aggressiva e con obiettivi di sedazione più profondi.

Inoltre, nel 70% dei pazienti l’assistenza ventilatoria è stata sospesa pur continuando la sedazione enterale, suggerendo la possibile ridotta interferenza dell’Idrossizina sul drive respiratorio e quindi sul processo di weaning.

Questo studio, non randomizzato, non consente di definire i vantaggi della sedazione enterale rispetto ai farmaci più utilizzati (Propofol e Midazolam). Un’indubbia utilità è stata quella di poter utilizzare metodiche di ventilazione assistita/CPAP, spesso fin dalle fasi precoci della degenza e con pazienti tranquilli, collaboranti e ben adattati.

Quindi, pur necessitando conferme in studi clinici randomizzati, appare chiara l’efficacia dell’Idrossizina nella sedazione dei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica invasiva, con il possibile vantaggio di minori effetti emodinamici e ridotta interferenza con il weaning respiratorio. A ciò si associa una considerevole riduzione del costo dei farmaci.

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Bibliografia
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