Il trauma toraco-addominale maggiore: gestione preospedaliera

Il trauma toraco-addominale maggiore: gestione preospedaliera
“Il dolore nel  traumatizzato: un problema sottovalutato?”
Davide Cordero, Luca Sivera
ASL 5 – UOC Anestesia e Rianimazione
Ospedale di Rivoli – Torino
Servizio Regionale Piemontese di Elisoccorso

L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP, 1979) definì il dolore come “esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tessutale in atto o potenziale o descritta in termini di danno”. Esso, pertanto, non è solo un semplice fenomeno nocicettivo, ma è il risultato di un’elaborazione svolta a livello superiore, quale sensazione coinvolgente lo stato psicologico, che si esplicita in uno quadro complesso in cui l’angoscia si associa ad una reazione fisica da stress, tale da comportare importanti alterazioni dell’omeostasi dell’organismo.

Melzack sostenne che “l’omissione del sollievo del dolore è moralmente ed eticamente inaccettabile” ed il Codice di Deontologia Medica obbliga “il medico a sforzarsi nell’alleviare le sofferenze del suo paziente” nonché “proteggere, mantenere, ripristinare e promuovere la salute delle persone o l’autonomia delle loro funzioni vitali, fisiche e psichiche, tenendo conto della personalità di ognuno di essi, nelle componenti psicologica, sociale, economica e culturale”.

Per tutti questi motivi, il trattamento del dolore acuto rappresenta una priorità nella pratica medica, non solo per ragioni etiche, ma soprattutto per le importanti ripercussioni fisiopatologiche come dimostrato da numerosi studi, tra i quali quelli di Kehlet (1987) che descrive quale “reazione da stress”, le profonde reazioni neuroendocrine secondarie ad una lesione tissutale, con conseguente aggravamento del quadro clinico ed il coinvolgimento delle funzioni vitali.

Il controllo preospedaliero del dolore non è generalmente considerato un obiettivo facilmente raggiungibile, particolarmente nel politrauma. Alla somministrazione degli antidolorifici, occorre anteporre, in ogni caso, l’impiego delle manovre di base consistenti nella stabilizzazione ed immobilizzazione di fratture e lussazioni con l’obiettivo di ridurre nettamente la sensazione dolorosa mediante il contenimento dei movimenti.

Alcune metodologie di intervento raccomandano l’uso degli analgesici solo per le lesioni isolate di articolazioni o arti, ma non nel politraumatizzato.

In ogni caso, come universalmente asserito da tutti gli autori, è buona norma di prudente e diligente trattamento medico del dolore, utilizzare gli analgesici con cautela e solo se ben tollerati dal paziente, evitarne la somministrazione quando si stiano manifestando o siano presenti segni e sintomi di shock, quando stabilizzazione ed immobilizzazione abbiano già prodotto una notevole riduzione del dolore, o quando il paziente sia sotto l’influsso di droghe ed alcolici ed, infine, se non si è a conoscenza delle loro potenziali complicazioni.

I comportamenti più frequenti dei medici nella gestione del dolore da trauma sono rappresentati o dalla totale astensione dall’impiego di farmaci o dalla cosiddetta “oligoanalgesia”: in questo  caso, il trattamento antalgico viene intrapreso, ma risulta del tutto inadeguato. Alla base vi sono carenze strutturali, quali la frequente indisponibilità materiale di adeguati trattamenti, farmaci e presidi, ma, in modo assai più preponderante, pesano i limiti culturali ed operativi tra cui la scarsa o nulla conoscenza delle metodologie di valutazione del dolore (sistemi a scale), la carente dimestichezza nell’uso degli analgesici maggiori in contesto sia pre- che intraospedaliero, la carente cultura farmacologica e la minima attenzione alle sofferenze del paziente. Tutto ciò sfocia nel rifiuto all’utilizzo degli oppiacei, o, quando raramente attuato, nell’impiego di bassi dosaggi per il timore di potenziali eventi avversi a cui non si sa o, peggio, non si vuol far fronte.

Quale atteggiamento, dunque, deve avere il medico di fronte al dolore nel paziente traumatizzato? La risposta è assai semplice per chi ha quotidiana dimestichezza con il paziente critico, il trattamento del dolore e l’impiego a largo spettro di tecniche di anestesia ed analgesia, come il medico specialista in Anestesia e Rianimazione; assai meno per il medico che non ha questo tipo di formazione.

Gli autori analizzano l’approccio integrale al traumatizzato: esso prevede innanzitutto, la valutazione attenta dello scenario, direttamente attuata nel corso dell’intervento medico preospedaliero, mentre, in ambito intraospedaliero, è basata invece sui dati riportati dai soccorritori. Ad essa fanno seguito la valutazione e la stabilizzazione del paziente attraverso una fase primaria, rapida identificazione e trattamento delle condizioni che mettono a rischio la vita del paziente, e quella secondaria che identifica e, possibilmente, tratta le lesioni meno gravi e quelle non identificate durante la fase primaria. La gestione avanzata integrale del paziente comporta anche il trattamento contemporaneo del dolore nei vari passaggi clinici.

Il traumatizzato critico si giova pertanto, già durante le manovre di stabilizzazione avanzata primaria, dell’utilizzo di tecniche di sedazione, curarizzazione ed analgesia endovenosa, mentre il paziente non critico può essere gestito con trattamento farmacologico endovenoso ed all’occorrenza con tecniche di blocco periferico eseguite direttamente sulla scena o nel Dipartimento di Emergenza.

La metodologia di approccio farmacologico endovenoso del sintomo dolore nel traumatizzato prevede di norma, in riferimento alla Scala dell’OMS in tre steps successivi, il passaggio diretto al secondo o, preferenzialmente, al terzo gradino, con l’impiego di “oppioidi forti” quali la morfina, il fentanyl e derivati a dosaggi incremetali fino a raggiungere un adeguato sollievo, senza un massimo prestabilito. I FANS, invece, sono considerati scarsamente o per nulla efficaci nel controllo del dolore acuto da trauma. Tale approccio è ampiamente supportato dalle raccomandazioni basate sulla Evidence Based Medicine.

Ultima considerazione, ma non di minore importanza: la gestione integrata ed integrale del politraumatizzato, prima del lavoro del team che procederà alla stabilizzazione definitiva, deve essere opportunamente organizzata.