Emotrasfusione in Terapia Intensiva: rischi, reazioni avverse e complicanze.
Silvana Aristodemo, Giuliano Grazzini, Daniela Del Pace
Centro Regionale di Coordinamento e Compensazione per le Attività Trasfusionali, Regione Toscana
Da oltre 50 anni l’emoterapia costituisce una pratica indispensabile per incrementare la capacità di trasporto dell’ossigeno o prevenire l’instaurarsi di un debito di ossigeno e per trattare o prevenire manifestazioni emorragiche. Nonostante la progressiva introduzione di varie strategie per aumentare la sicurezza trasfusionale quali: la costante revisione dei criteri di selezione dei donatori, il prelievo e l’uso di emocomponenti selezionati, la ricerca del genoma virale – in aggiunta ai test di screening già ad alta sensibilità – per ridurre il periodo finestra delle principali malattie infettive trasmissibili con il sangue ( Epatite B, Epatite C e AIDS ) e l’utilizzo di tecniche di inattivazione dei patogeni (batteri, virus, protozoi e miceti) implicati nelle malattie trasmissibili con la trasfusione, l’emoterapia espone, per sua natura, a rischi e reazioni sfavorevoli che esigono un’approfondita valutazione del rapporto rischio/beneficio nel singolo paziente1 e l’urgente attivazione di un sistema nazionale, regionale e locale di emovigilanza analogamente a quanto avviene in altri paesi europei e extra europei.
Viene definita emovigilanza “il sistema di sorveglianza basato su una raccolta continua e standardizzata di dati e sulla loro analisi, che monitorizza tutti gli eventi inattesi e indesiderati riferibili alla donazione o alla trasfusione di sangue, compresi gli errori trasfusionali e che include dati sulla prevalenza o l’incidenza di marcatori virali nei donatori e sul numero di pazienti e di emocomponenti trasfusi” (Legge 219 del 21 ottobre 2005, art. 1, comma 3, All. 1)
Secondo quanto stabilisce il capitolo V della Direttiva 98/2002 CE, gli Stati Membri sono obbligati ad adottare tutte le misure necessarie per assicurare la completa rintracciabilità del percorso Donatore/Ricevente (art.14) e la notifica di qualunque incidente grave (evento accidentale o errore) o qualunque reazione indesiderata grave osservata in questo percorso (art.15).
Il modello di notifica è allegato alla Direttiva 2005/61/CE della Commissione europea e consente di rilevare in maniera univoca negli stati membri i rischi correlati alla trasfusione e fornire elementi utili a migliorare la qualità del sistema, rivedendo le procedure in base all’analisi retrograda dell’evento (imparare dall’errore)
Nonostante le misure adottate per contenere il rischio infettivo abbiano portato ad una drastica riduzione delle principali infezioni post trasfusionali (Epatite B, Epatite C e AIDS), tanto che mai il sangue è stato sicuro come oggi, questo rischio rimane quello maggiormente percepito dalla opinione pubblica e dalla stessa comunità medica tanto da determinare una forte spinta ad utilizzare ogni nuova metodica disponibile per aumentare la sicurezza della trasfusione, anche se molto costosa e con un rapporto costo beneficio difficile da valutare2
Rimane tuttora un rischio significativo di trasmissione di epatite B, con un’incidenza da 1/ 5.800 a 1/150.000 a causa di mutanti virali (escape), nuove varianti, sensibilità dei test di screening e ridotta replicazione virale, che limita la sensibilità dei test NAT.
Negli ultimi anni sono stati identificati vari altri virus trasmissibili con sangue e derivati come HTLV I e II, CMV, EBV, Parvovirus B19, HHV, con diffusione limitata ad alcune aree geografiche (West Nile Virus) o con patogenicità sub-iudice (HGV, TTV, SEN-V) o limitata ad alcune condizioni di immunodepresione (CMV, parvovirus e virus erpetici -HHV8, HHV6, HHV7, HSV-).
Oltre agli agenti virali diversi microrganismi possono essere responsabili di infezione associata alla trasfusione: la trasmissione di batteri costituisce un evento relativamente raro, ma potenzialmente fatale, che rappresenta una delle più importanti cause di morbilità e mortalità causate dalla trasfusione (rischio di shock settico). La crescita dei batteri contaminanti avviene con maggiore probabilità nei concentrati piastrinici, che sono conservati a temperatura ambiente, rispetto ai concentrati eritrocitari mantenuti alla temperatura di 4°C. E’ stato stimato che la contaminazione batterica dei concentrati piastrinici possa variare da 1:400 a 1:2.000 mentre il rischio di sepsi fatale va da 1:25.000 a 1:50.000 unità trasfuse3
Oltre ai batteri comuni, negli emocomponenti possono essere presenti gram negativi come le spirochete ( Treponemi, Borrelie e Leptospire) e le richettsie, coccobacilli gram negativi responsabili di infezioni quali la febbre purpurica delle montagne rocciose e la febbre Q.
La contaminazione batterica del sangue e degli emocomponenti può realizzarsi durante tutte le fasi del percorso Donatore-Ricevente per varie cause: batteremia asintomatica o batteri presenti sulla cute del donatore non rimossi dalla disinfezione, uso di materiale contaminato nella raccolta, trattamenti impropri nella preparazione e manipolazione degli emocomponenti, manovre non rispettose dell’asepsi all’atto trasfusionale.4 L’avvio dell’esame colturale sistematico dei CP come misura preventiva (richiesta di recente dall’AABB alle banche del sangue americane) è tuttora ampiamente discusso per mancanza di dati validati, per il potenziale numero elevato di unità da eliminare e per le conseguenti difficoltà nella disponibilità di questi prodotti. Altre misure preventive considerate sono la leucodeplezione dopo poche ore dalla conservazione a temperatura ambiente (mantenimento dell’attività battericida del complemento) o l’eliminazione dei primi 10 ml di sangue al momento del prelievo.
L’epidemia di Encefalopatia spongiforme bovina nel Regno Unito a metà degli anni ‘90 ha focalizzato l’attenzione sul possibile rischio di trasmissione di questa malattia con l’emotrasfusione. Fino ad oggi sono stati segnalati 4 casi di variante di malattia Creutzfeldt-Jakob associati alla trasfusione. Come misura di prevenzione nel Regno Unito è stata adottata la leucodeplezione globale degli emocomponenti in base al “principio di precauzione” previsto inizialmente dalla Comunità Europea solo per le questioni di tipo ambientale. Il principio prevede la possibile adozione di misure cautelative, sulla base di ragionevoli ipotesi di rischio per il cittadino, anche in assenza di evidenze scientifiche conclusive che ne giustifichino l’introduzione.
Vari altri patogeni possono essere trasmessi con la trasfusione favoriti dalla progressiva globalizzazione, dall’intensificarsi dei viaggi da zone ad endemia malarica e dallo sviluppo di patogeni nuovi o emergenti.
Ma la trasmissione di malattie infettive è solo uno dei rischi che possono compromettere l’efficacia e i benefici della trasfusione e sicuramente non è il più frequente. Come dimostrano i dati di vari sistemi di emovigilanza l’attenzione deve focalizzarsi sul rischio non infettivo, che non ha mostrato negli anni alcun decremento. Una revisione delle cause di morte correlate alla trasfusione condotta nel Regno Unito dal sistema volontario di emovigilanza SHOT ( Serious Hazard Of Transfusion ) relativa al periodo 1996 – 2001 ha dimostrato che su 38 pazienti deceduti, il 34% era affetto da graft versus host associata a trasfusione ( TA-GvHD ), il 18% da sepsi batterica o infezione parassitaria, il 16% da Transfusion Related Acute Lung Injury ( TRALI ) ed il 13% da reazione emolitica dovuta ad incompatibilità ABO . Nessun paziente era deceduto per una delle infezioni sottoposte a screening..5 A 10 anni dalla sua costituzione SHOT ha analizzato 2630 eventi avversi alla trasfusione, pubblicato 8 report annuali con raccomandazioni e presentato dati nazionali e internazionali. Dai dati relativi al periodo 1996 – 2004 emerge che il 69,7% degli eventi avversi è correlato alla trasfusione di emocomponenti non appropriati o destinati ad altri pazienti, il 10,2% a reazioni acute post-trasfusionali, il 9,7% a reazioni trasfusionali ritardate, il 6,2% a TRALI e solo l’1,8% ad infezioni, con un solo caso di epatite E nel 2004. Si segnala una forte diminuzione della TA-GvHD dall’introduzione della leucodeplezione totale nel 1999. Inoltre, se si considerano gli eventi fatali correlati alla trasfusione, la TRALI si conferma al 1° posto con 36 pazienti deceduti su 100. Per quanto attiene agli altri eventi avversi la TRALI è responsabile di 93/268 eventi di maggiore morbilità e 33/240 eventi di minore morbilità.
Alla base di quasi tutte queste reazioni avverse ci sono meccanismi immunitari che sono il fondamento delle reazioni trasfusionali emolitiche immediate con grave emolisi intravascolare per la maggior parte da incompatibilità ABO. Più raramente possono essere in causa anche alloanticorpi diretti contro altri antigeni eritrocitari come quelli dei sistemi Rh, Kell e Duffy
Causa di queste reazioni che si manifestano entro pochi minuti dall’inizio della trasfusione è soprattutto l’errata identificazione del paziente o al momento del prelievo dei campioni per la determinazione del gruppo sanguigno e per l’esecuzione delle prove di compatibilità o all’atto stesso della trasfusione. Più raramente è implicato il Servizio Trasfusionale per errori tecnici o commessi al momento dell’erogazione degli emocomponenti. La frequenza stimata delle reazioni emolitiche acute è di 1:38.000 – 1:70.000 unità trasfuse.
La presenza nel Ricevente di anticorpi verso alloantigeni eritrocitari a basso titolo, quindi non rilevabili dalle prove pretrasfusionali, può essere responsabile delle reazioni trasfusionali emolitiche ritardate. Le emazie trasfuse ricoperte da alloanticorpi sono eliminate in sede extra vascolare dai macrofagi splenici che esprimono sulla loro superficie recettori per il frammento Fc delle immunoglobuline. Questa reazione si manifesta con una frequenza da 1:5000 a 1:11.000 unità trasfuse, entro due settimane dalla trasfusione con un calo inatteso della emoglobina, ittero e raramente insufficienza renale.
La reazione trasfusionale febbrile non emolitica è la più frequente reazione associata alla trasfusione di emocomponenti cellulari. Può manifestarsi nello 0,5 – 3 % dei pazienti trasfusi ed è caratterizzata da un aumento della temperatura di almeno 1°C dopo 30-120 minuti dall’inizio della trasfusione, accompagnata da brividi, sensazione di freddo, cefalea e meno frequentemente nausea e vomito. Impone la diagnosi differenziale da altre cause di ipertermia associata a trasfusione, è considerata innocua e di breve durata. E’ mediata da anticorpi diretti verso gli antigeni leucocitari del donatore ( soggetti politrasfusi e donne multipare sono quindi a maggior rischio ) o da citochine ad attività pirogena ( TNF-alfa, IL-1, IL-6, ) che si accumulano negli emocomponenti durante al conservazione.
Tra le reazioni immunomediate è frequente (1-3% delle unità trasfuse) la reazione allergica orticarioide dovuta a sensibilizzazione alla proteine plasmatiche. Può manifestarsi con ogni tipo di emocompomente contenente plasma. Si associa ad eritema, arrossamento cutaneo con possibile interessamento delle vie aeree superori ( edema laringeo ) o inferiori ( dispnea e cianosi ) o dell’apparato gastroenterico ( nausea, vomito e dolori addominali ).
I pazienti che presentano una sintomatologia importante devono essere trasfusi con componenti cellulari lavati per rimuovere il plasma residuo ed eventualmente devono essere sottoposti a premedicazione con antistaminici.
Solo pochi millilitri di emocomponente possono scatenare una reazione anafilattica potenzialmente letale ( 1 ogni 20.000-170.000 unità trasfuse ) con grave dispnea, broncospasmo e tosse, ipotensione, nausea e vomito, tachicardie e aritmie fino all’arresto respiratorio e shock, che richiede il mantenimento di un accesso venoso e la somministrazione di adrenalina e glucocorticoidi nei casi più gravi. Sono a rischio per questa reazione i pazienti con grave deficit di IgA che sviluppano anticorpi anti IgA.
L’alloimmunizzazione verso gli antigeni specifici di piastrine e leucociti e antigeni HLA può causare importanti complicanze nei riceventi, tenendo conto che il rischio di alloimmunizzazione è condizionato dalla immunogenicità di ciascuno antigene, dal numero di stimoli e dallo stato di immunocompetenza del ricevente. Le donne in età fertile, sensibilizzate agli antigeni eritrocitari e piastrinici, possono avere gravidanze a rischio di malattia emolitica del neonato e piastrinopenia neonatale alloimmune. E’ quindi importante, particolarmente in soggetti giovani e nelle donne in età fertile, evitare al massimo l’esposizione antigenica, salvo reale pericolo di vita per il paziente, o prevenirla, in assenza di alternative alla trasfusione, mediante l’uso di componenti cellulari leucodepleti ( emocomponenti filtrati ) che consentono di evitare almeno l’immunizzazione verso gli antigeni HLA leucocitari.
L’alloimmunizzazione all’antigene piastrinico HPA-1 espresso dalla GpIIIa può essere causa di un’improvvisa, severa e autolimitante trombocitopenia che si manifesta 5-10 gg dopo la trasfusione di un CP (porpora post trasfusionale). La distruzione delle piastrine autologhe può essere mediata dagli immunocomplessi circolanti che si legano al recettore Fc delle piastrine del ricevente, dall’assorbimento di antigeni solubili del donatore sulle piastrine del ricevente o da una cross reattività dell’alloanticorpo con le piastrine autologhe. Ulteriori trasfusioni piastriniche devono essere evitate per non peggiorare la trombocitopenia; gli anticorpi scatenanti possono essere neutralizzati da Ig somministrate endovena o rimossi con il plasma exchange.
L’alloimmunizzazione agli antigeni leucocitari e piastrinici può essere inoltre causa di refrattarietà alla trasfusione piastrinica.
Il trasferimento di cellule immunocompetenti del donatore al ricevente immunodepresso o immunocompetente, che condivida con il donatore – di solito consanguineo – un aplotipo HLA, può determinare la comparsa della reazione del “ trapianto contro l’ospite” post trasfusionale (TA-GvHD) che pur rara è spesso fatale (oltre il 90% dei casi) mediata dal trasferimento, colonizzazione (engraftment) ed espansione clonale di elementi immunocompetenti (linfociti T) del donatore presenti nella frazione delle cellule mononucleate dell’emocomponente trasfuso. Il quadro clinico può presentarsi in forma acuta dopo 5 – 8 gg o in forma cronica, meno frequente e meno conosciuta, dopo 3 – 4 settimane dalla trasfusione. Sono i linfociti T del donatore che insieme a citochine (TNF-beta, IL-1, IL-2, gamma interferone) rilasciate da cellule immunoreattive durante la conservazione degli emocomponenti, danneggiano cute, fegato e intestino provocando febbre, dermatite o eritroderma, danno epatico, enterocolite e diarrea profusa, pancitopenia con ipoplasia midollare. La pancitopenia è complicata dalla sepsi, spesso fatale. La prevenzione, mediante l’irradiazione degli emocomponenti con la dose di 2500 cGy, per impedire la proliferazione dei linfociti trasfusi è l’unica strategia che si è dimostrata efficace. Diversamente dalla Graft che segue a trapianto di midollo allo genico, la TA-GvHD è resistente alle terapie immunosoppressive (glucocorticoidi, ciclosporina e globulina anti timociti), è quindi fondamentale l’irradiazione degli emocomponenti destinati a pazienti ad alto rischio (feti, neonati, pazienti immunocompromessi o sottoposti a trapianto di midollo osseo e coloro che ricevono unità donate da familiari). Studi compiuti sull’animale da esperimento e sull’uomo hanno dimostrato che l’insorgenza della TA-GvHD dipende da:
· lo stato immunitario del ricevente
· la compatibilità HLA tra ricevente e donatore
· la dose e la vitalità degli elementi immunocompetenti trasfusi6
Il numero di cellule immunocompetenti necessario per la comparsa di questa complicanza è di 1×107 7
La stimolazione immunologica conseguente alla trasfusione così come gli effetti di aggressione verso l’ospite (TA-GvHD) indicano che la terapia trasfusionale è una terapia sostitutiva, capace di indurre una immunomodulazione che si può esprimere anche come tolleranza e immunodepressione confermate da:
· migliore tolleranza degli organi trapiantati (nel ’73 Opelz e coll. segnalarono che i pazienti trasfusi presentavano una sopravvivenza del trapianto renale più lunga rispetto ai non trasfusi),8
· maggiore frequenza di infezioni batteriche e/o virali dopo interventi chirurgici,
· maggiore frequenza di recidive neoplastiche e metastasi dopo interventi chirurgici di asportazione di tumori soprattutto del colon-retto, polmone, testa-collo, mammella,
· riattivazioni di infezioni latenti (CMV-HIV) nel periodo post operatorio, sia dopo interventi per neoplasie che per altre patologie,
· riduzione degli aborti ricorrenti e delle ricadute di alcune patologie su base autoimmune,
· frequenza di 2 – 4 volte superiore di linfomi non Hodgkin rispetto ai soggetti mai trasfusi9, 10
Altre complicanze trasfusionali sono dovute a processi che non sono né immunomediati, né infettivi, ma da attribuire in larga parte alle alterazioni fisiche e metaboliche che intervengono durante al conservazione: “lesioni da conservazione” o per effetto degli additivi conservanti. Così l’aumentata concentrazione di potassio dovuta all’alterata permeabilità degli eritrociti durante la loro conservazione. Sono a rischio di iperkalemia i pazienti con insufficienza renale e i neonati per i quali è infatti richiesto l’impiego di eritrociti freschi ( 5 gg dal prelievo ). L’ipocalcemia, che può manifestarsi dopo trasfusioni multiple o effettuate rapidamente, è legata al citrato, anticoagulante chelante del Ca. Il sovraccarico di ferro che può comparire a livello del fegato cuore e ghiandole endocrine nei soggetti politrasfusi, è la conseguenza della prolungata somministrazione di 200 a 250 mg di ferro per unità di eritrociti trasfusi. La rapida infusione degli emocomponenti, soprattutto in pazienti anziani di piccola taglia come la successiva somministrazione di molte unità può causare un sovraccarico del circolo e, se non opportunamente preriscaldate, ipotermia con comparsa di aritmie cardiache.
Un’improvvisa caduta della pressione arteriosa sistolica e diastolica con aumento della frequenza cardiaca può presentarsi in pazienti trasfusi, in terapia con farmaci ad azione ACE – inibitoria, dal momento che questi farmaci impediscono la degradazione delle chinine, che si accumulano nei concentrati eritrocitari e piastrinici.
Tra le complicanze immunologiche post-trasfusionali acute con insorgenza durante o entro poche ore ( 1 – 6 ore ) dal termine della trasfusione di prodotti ematici contenenti plasma, la TRALI ( Transfusion-Related Acute Lung Injury )11 viene ritenuta una delle più importanti cause di morbilità e mortalità correlata alla trasfusione: negli USA e nel Regno Unito è considerata la principale causa di morte correlata alla trasfusione. Il primo ampio studio condotto nella Mayo Clinic riporta una mortalità del 5%, oggi studi diversi segnalano una mortalità dal 6 al 20%.12
Oltre al plasma i prodotti ematici correlati con questa grave reazione sono il sangue, i concentrati eritrocitari e piastrinici, il crioprecipitato e raramente le Ig vena13 I concentrati piastrinici sono gli emocomponenti più frequentemente in causa seguiti dal PFC e dai concentrati eritrocitari e via via dagli altri prodotti14 L’incidenza della TRALI è estremamente variabile per il mancato riconoscimento e/o l’omessa segnalazione, difformità dei criteri di definizione e variabilità dei sistemi di sorveglianza. Secondo alcune rilevazioni sarebbe compresa tra1:432 a 1:88.000 per unità di concentrato piastrinico e tra 1:4.000 a 1:557.000 per unità di concentrato eritrocitario15 Si tratta di una sindrome molto complessa che può presentarsi con vari gradi di interessamento polmonare. Le diverse descrizioni come “ edema polmonare non cardiogeno, edema polmonare allergico, reazione polmonare da ipersensibilità, reazione polmonare da leucoagglutinine ne sottolineano la complessità, la difficoltà di ricondurre questa patologia ad un unico quadro nosologico e la necessità di differenziarla da altre complicanze post trasfusionali con interessamento polmonare, come il sovraccarico circolatorio, le reazioni allergiche ed anafilattiche, le reazioni emolitiche e la contaminazione batterica.
La prima segnalazione comparsa in letteratura è a cura di Barnard nel 1951.16 Altre ne sono apparse fino alla prima descrizione di Popovsky e collaboratori nel 1983 e successivamente nel 1985 17,10
Un panel di esperti riuniti in una Consensus Conference sulla TRALI a Toronto nell’aprile del 2004 hanno sottolineato come molti aspetti di questa complicanza siano tuttora controversi per cui spesso non viene diagnosticata né segnalata. Scopo della Consensus era chiarirne i meccanismi patogenetici, definire criteri univoci per la diagnosi, valutare il rischio post-trasfusionale e la modalità di selezione dei donatori e di gestione di quelli implicati in casi di TRALI.18
La sintomatologia è caratterizzata dalla improvvisa comparsa, durante o entro 6 ore dalla fine della trasfusione di prodotti ematici, di dispnea con ipossiemia sostenuta da edema polmonare bilaterale accompagnato da brividi, febbre ( con un incremento di 1°C – 2°c rispetto ai valori di partenza ) e ipotensione. I casi più lievi probabilmente si presentano solo con febbre e dispnea mentre nei quadri più severi compare anche ipossiemia acuta con rapporto PaO2/FiO2 < 300 mm di Hg, edema polmonare e ipotensione con marcata ipovolemia. Meno frequentamente possono essere presenti tachicardia e cianosi.
Secondo il NHLBI ( National Heart, Lung and Blood Institute ) Working Group Consensus i casi di TRALI senza fattori di rischio per ARDS vanno tenuti distinti da quelli in cui sono presenti. Nel primo caso il danno polmonare acuto che si instaura entro 6 ore dalla fine della trasfusione di uno o più prodotti contenenti plasma, in assenza di altri fattori di rischio di ARDS, è riconducibile a TRALI. Nel secondo caso i fattori di rischio per ARDS potrebbero essere l’unica causa o agire come cofattori nella genesi del danno polmonare acuto. La lesione polmonare, diversamente che nelle forme di ALI/ARDS, è tipicamente transitoria, purché venga prontamente attuato l’adeguato trattamento con supporto respiratorio fino alla ventilazione meccanica per le forme più gravi.
L’esame radiologico, come la sintomatologia, non è specifico19,20,21 ma del tutto simile a quello della ARDS ( Acute Respiratory Distress Sindrome ) con infiltrati alveolari e interstiziali bilaterali. E’ tipica la discrepanza tra la gravità del quadro radiologico ed il reperto ascultatorio che rileva solo una diminuzione del murmure vescicolare e rantoli diffusi. La trachea è ripiena di un liquido schiumoso giallo.
Gli esami di laboratorio evidenziano emoconcentrazione e un’improvvisa riduzione dell’albumina oltre ad una drastica diminuzione di neutrofili, monociti e complemento, che non sono specifici di questa patologia. Non esistono esami di laboratorio specifici nel donatore; andrebbero comunque ricercati anticorpi anti HLA di 1° e 2°classe e anti HNA e, in caso di positività, ne andrebbe definita la specificità. Per accertarne il ruolo patogenetico dovrebbe essere eseguita la tipizzazione HLA e HNA del ricevente o un cross match tra il siero del donatore e i leucociti del ricevente22,23 In casi con evidenti infiltrati polmonari anticorpi anti HLA sono stati evidenziati nel 61 – 89 % dei casi. In un certo numero di casi sono stati ritrovati solo anticorpi anti HNA prevalentemente verso gli antigeni NA1, NA2, NB1, 5b. Il ruolo patogenetico di questi anticorpi non è stato definitivamente accertato. E’ diffusamente condiviso che la TRALI rappresenti un’infiammazione polmonare maggiore causata da una lesione dei capillari polmonari secondaria ad un’attivazione dei leucociti. . Infatti nel polmone, diversamente dagli altri organi, il principale sito di migrazione dei leucociti, in risposta all’infiammazione, è il letto capillare e non le venule post capillari. In condizioni fisiologiche l’attraversamento dei capillari da parte dei neutrofili, dal momento che il loro diametro è di circa il 50% più largo dei segmenti capillari che attraversano, avviene in maniera meccanica mediante un cambiamento di forma e non richiede l’intervento di altri mediatori (L selectina – β integrina) e di molecole di adesione. La perdita di deformabilità per azione del “priming” indotto da vari agenti porta quindi alla stasi e ad un accumulo di neutrofili nei piccoli vasi polmonari e negli spazi interstiziali e alveolari24 e ad un sovvertimento dell’architettura polmonare, analogamente a quanto si osserva nell’ARDS. La lesione polmonare si instaura per azione delle sostanze contenute nei granuli, rilasciate dai neutrofili attivati adesi alle cellule endoteliali dei piccoli vasi polmonari. Il danno della membrana basale permette l’accumulo di liquidi negli interstizi e negli alveoli e, specialmente nello stadio finale delle forme più severe di TRALI, il passaggio degli stessi neutrofili negli alveoli. Pertanto alla base dell’edema in corso di TRALI è l’aumentata permeabilità vascolare, diversamente dalle forme cardiogene dove si realizzi attraverso un’incrementata filtrazione dei liquidi (trasudato). Questo meccanismo che è alla base del grave danno alveolare in corso di TRALI, conferma il ruolo che neutrofili e cellule endoteliali dei capillari polmonari, giocano nella sua patogenesi.
Due sono le ipotesi avanzate per spiegare l’instaurarsi di questo meccanismo patogenetico:
· ipotesi del priming dei neutrofili
· ipotesi anticorpale
Ipotesi del priming dei neutrofili
La TRALI è il risultato del realizzarsi di due eventi indipendenti:
Il primo evento porta ad un’attivazione delle cellule endoteliali dei piccoli capillari polmonari con adesione e priming dei PMN. Perché si realizzi l’attivazione dei neutrofili, che si manifesta con fagocitosi, rilascio di enzimi e proteine dai loro granuli e sintesi ex novo di sostanze altamente citotossiche specie ossigeno reattive (ROS), è necessario il loro “priming” che ne potenzia di 20 volte la risposta25 Diversi studi “in vivo” dimostrano che procedure chirurgiche maggiori, infezioni gravi, trasfusioni massive, malattie cardiovascolari gravi, trapianto di cellule staminali emopoietiche, chemioterapia, possono generare composti biologicamente attivi, agenti infettivi, quali lipopolisaccaridi derivati dai batteri, e citochine come platelet activating factor (PAF) tumor necrosis factor α (TNF-α), IL-8, GM-CSF e interferone γ con azione di “priming” sui neutrofili26,27,28,29 Sotto l’azione degli agenti “priming” i neutrofili subiscono un cambiamento di polarizzazione e forma 30 che porta ad un loro irrigidimento “stiffaning” con conseguente stasi, sequestro e interazione con le cellule endoteliali dei capillari polmonari.
Si origina un microambiente in cui recettori e mediatori di neutrofili e cellule endoteliali si influenzano reciprocamente.
In corso di trasfusione (secondo evento) anticorpi verso gli antigeni leucocitari, citochine e lipidi prodottisi durante la conservazione degli emocomponenti possono determinare l’attivazione dei neutrofili e il conseguente danno polmonare.
Alcune sostanze come anticorpi verso i recettori di superficie dei neutrofili (L selectina e C18) o citochine/chemochine, se presenti ad alta concentrazione, possono indurre direttamente il priming e la completa attivazione dei neutrofili, che potrebbero spiegare l’instaurarsi della TRALI anche in quei soggetti che non presentano quelle condizioni favorenti indicate come “primo evento”
Altre evidenze cliniche e sperimentali suggeriscono che la TRALI può essere avviata dal solo endotelio polmonare, che, attivato da anticorpi anti HLA di 1° classe, presenti negli emocomponenti e reagenti con i corrispondenti antigeni HLA delle cellule endoteliali, o da lipidi bioattivi,31 sviluppatisi durante la conservazione, esprime recettori di membrana e ligandi per L selectina e P selectina. Viene quindi favorita l’adesione dei neutrofili sui quali agiscono chemochine e citochine prodotte dall’endotelio attivato. Secondo questa ipotesi gli anticorpi adesi alle pareti endoteliali favorirebbero via Fcγ receptor la sequestrazione dei PMN, che attivati produrrebbero il danno polmonare 32
Non è chiaro se per il realizzarsi della TRALI sia necessario il concorso dei due meccanismi patogenetici ( priming dei neutrofili e attivazione dell’endotelio ) o se sia sufficiente uno solo dei due.
Ipotesi anticorpale
Secondo questa ipotesi la TRALI sarebbe il risultato della reazione tra gli anticorpi antiHNA e antiHLA di 1° e 2° classe, presenti nell’emocomponente trasfuso, e gli antigeni espressi dai leucociti del ricevente. Più raramente sono gli anticorpi presenti nel ricevente che reagiscono con i leucociti presenti nell’emocomponente trasfuso. L’attivazione del complemento innescata dalla reazione antigene anticorpo richiama PMN che aderiscono all’endotelio polmonare, si attivano e rilasciano sostanze vasoattive quali ROS, leucotrieni ed altri mediatori che danneggiano l’endotelio e la membrana dei capillari fino all’edema polmonare.
Per i casi in cui sono presenti anticorpi diretti solo verso gli antigeni HLA di 2° è stata ipotizzata un danno diretto sull’endotelio polmonare per interazione con gli antigeni di classe II espressi dalle cellule endoteliali 33,34
Secondo studi in vitro gli anticorpi anti HLA di 2° classe reagendo con i corrispondent antigeni espressi dai monociti, sarebbero capaci di indurre la loro attivazione e la successiva produzione, in poche ore, di varie citochine quali il tumor necrosis factor-α, interleuchina 1β, e tissue factor ad azione citotossica35
Una volta instauratasi, la lesione polmonare, al contrario delle forme ALI/ARDS è transitoria, l’80 – 90% dei pazienti migliora entro 48 – 96 se adeguatamente trattati, il 20% ha una risoluzione più lenta, ma completa.. E’ fondamentale il tempestivo supporto respiratorio con ossigenoterapia nelle forme più lievi e la ventilazione meccanica in quelle più gravi.( 6,7,15 ). Sono stati utilizzati senza benefici anche steroidi ad alte dosi in considerazione della patogenesi immunologia; i diuretici, possono risultare addirittura nocivi in presenza di ipovolemia e ipotensione, da monitorare mediante la misurazione della pressione venosa centrale e quella media nell’arteria polmonare. Nei casi di grave ipossia e ipotensione non è raro l’instaurarsi di una grave insufficienza renale. Diversamente da altri quadri di sindromi respiratorie gravi, la restituito ad integrum è completa senza particolari sequele.
Per prevenire l’instaurarsi della TRALI nei casi in cui la trasfusione è insostituibile, oltre all’irrinunciabile uso appropriato degli emocomponenti, sono state proposte varie strategie quali:
· l’utilizzo per l’uso clinico solo delle unità di plasma donato da donatori maschi periodici e da donne nullipare;
· l’esclusione delle donne multipare dalle donazioni di plasma destinato all’uso clinico;
· la ricerca sistematica nel siero dei donatori di anticorpi anti HLA e antigeni granulocitari per selezionare prodotti non pericolosi;
· l’esclusione dei donatori con presenza di anticorpi anti HLA e antigeni granulocitari o implicati in casi di TRALI;
· il lavaggio degli emocomponenti cellulari per gli interventi di elezione in chirurgia maggiore, per rimuovere eventuali anticorpi, lipidi o altri modificatori della risposta biologica;
· la leucoriduzione prestorage e la riduzione dei tempi di conservazione per ridurre l’accumulo di lipidi e di altri composti biologicamente attivi;
· l’uso di plasma inattivato con solvente detergente (PFC S/D). Il PFC S/D è un prodotto farmaceutico (pertanto sottoposto ad autorizzazione all’immissione in commercio) che si caratterizza per essere stato sottopost a tecniche di inattivazione dei patogeni potenzialmente trasmissibili o a screening preliminare per quelli clinicamente rilevanti e non inattivabili (HAV e Parvovirus B19), per l’elevata standardizzazione lotto per lotto, dichiarazione della concentrazione/attività delle proteine biologicamente attive, riduzione azzeramento dei rischi immunologici legati alla presenza di anticorpi, cellule o loro frammenti in grado di causare eventi avversi come la TRALI
Motivi economici, compreso il consistente impegno degli operatori, la perdita di una quota di donatori, l’incertezza sui reali meccanismi patogenetici (cosi come esistono numerose segnalazione di comparsa di TRALI dopo la somministrazione di emocomponenti contenenti anticorpi anti HLA altri studi hanno rilevato come la presenza di anticorpi anti HLA e HNA negli emocomponenti trasfusi non comporti sempre l’insorgenza di questa patologia) ostacolano l’attuazione diffusa di tutte queste strategie.
I pazienti in Terapia Intensiva sono più di altri a rischio per molte delle reazioni avverse esaminate, in quanto soggetti a ripetute trasfusioni di vari tipi di emocomponenti per tempi anche protratti con rischio di alloimmunizzazione ad antigeni eritrocitari, piastrinici e del sistema HLA e con importante rischio di TRALI. In particolare se si conferma l’ipotesi patogenetica dei “due eventi”, essendo il primo evento rappresentato da una condizione infiammatoria predisponente che è comunemente presente nei pazienti in Terapia Intensiva si comprende come per questi pazienti, già a rischio per ALI/ARDS, la trasfusione possa rappresentare un’ulteriore potenziale causa di danno polmonare acuto. Da qui l’alto livello di attenzione che questi pazienti devono ricevere da parte dei medici trasfusionisti e la necessità che i medici intensivisti, consapevoli dell’alta esposizione ai rischi dell’emoterapia dei loro pazienti ricerchino attivamente una intensa collaborazione con il Servizio Trasfusionale per la scelta dei prodotti più appropriati per ogni singolo paziente e per l’adozione di misure preventive e di sorveglianza utili a rilevare e diagnosticare correttamente eventuali reazioni avverse alla trasfusione. Solo attraverso la puntuale e corretta segnalazione di qualsiasi reazione indesiderata o inaspettata in corso di emoterapia sarà possibile l’attuazione di un sistema di emovigilanza che oltre a rilevare tutte le reazioni indesiderate e inaspettate alla trasfusione, monotorizzarle e analizzarle, sia poi in grado di prevenirle e quindi fattivamente contribuire alla riduzione del rischio trasfusionale elevandone sicurezza e benefici per il singolo paziente.
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