Cause di ipertensione endocranica

CAUSE DI IPERTENSIONE ENDOCRANICA
Giovambattista Barbati
(Dirigente Medico U.O.C. Rianimazione e T.I. – P.O. Avezzano)

INTRODUZIONE
L’encefalo è una struttura racchiusa, almeno dopo la prima infanzia, in un involucro rigido costituito dalla scatola cranica. La pressione intracranica (PI) è quindi la risultante dei volumi degli elementi contenuti nella cavità stessa e cioè cervello, liquor e sangue. È da tenere presente che il volume intracranico è essenzialmente fisso e, di conseguenza, in base alla legge di Monro-Kellie, la variazione di volume di uno di questi tre elementi è possibile solo se compensata da opposte modificazioni degli altri due. La relazione tra il volume (V) del cervello, del sangue e del liquor può essere espressa da questa semplice equazione:
V cervello + V sangue + V liquor + V altro = K
dove K è una costante.

Soprattutto per la presenza del letto vascolare cerebrale, la relazione pressione-volume intracranica non è una funzione lineare. La curva PI-Volume è di forma complessa: la prima porzione rappresenta la fase di compenso durante la quale l’espansione del sacco durale, il parziale svuotamento dei seni venosi e l’eventuale aumentato riassorbimento di liquor fanno sì che ad aumenti anche notevoli di volume del contenuto intracranico corrisponda un aumento pressorio quasi nullo. Durante questa fase si esauriscono le capacità di compenso dell’asse craniospinale. Nella seconda fase la curva si inflette bruscamente assumendo un andamento esponenziale e piccoli aumenti volumetrici determinano marcati aumenti di PI. Questa seconda porzione della curva pressione-volume è indice delle vere proprietà elastiche del contenuto intracranico (essenzialmente del cervello), che possono essere modificate da situazioni patologiche quali ischemia, edema, crescita tumorale.

MISURAZIONE DELLA PIC

La misurazione esatta della PIC è tutt’altro che semplice. Molti fattori contribuiscono a determinarla ed i sistemi di rilevazione non possono neutralizzare tutte le difficoltà che si frappongono. Ad esempio va rilevato che, inserendo un ago nello spazio subaracnoideo spinale, a soggetto in posizione seduta, si ottiene una pressione che è inferiore a quella che si otterrebbe se la scatola cranica fosse aperta; essa tuttavia è superiore a quella che si otterrebbe se invece fosse completamente chiusa; infatti, la scatola cranica è imperfettamente chiusa poiché la pressione atmosferica si trasmette parzialmente al contenuto intracranico attraverso la pressione centrale venosa. Oltre a fattori di ordine gravitario, la pressione liquorale è influenzata da fattori di ordine vascolare e cioè dalla pressione arteriosa, capillare e venosa dell’encefalo.

Nella pratica neurochirurgica si usa la puntura diretta del ventricolo, ma solo quando vi sia una IE e quando vi sia l’indicazione chirurgica a farla. Recentemente si sono sviluppati sistemi di misura che non richiedono necessariamente la penetrazione e l’attraversamento del tessuto nervoso e che, contemporaneamente, tengono conto della necessità di misurare sia cronicamente la PI, ad esempio nell’idrocefalo infantile, sia rapidamente ed una tantum, ad esempio nei traumi cranici. Questi metodi si basano sulla misurazione della pressione dallo spazio extradurale, mediante sensori che riflettono variazioni di forze applicate dallo spazio intradurale. La tecnica però oggi largamente in uso è quella della vite subaracnoidea che, attraverso un tubo, comunica con un trasduttore esterno. È stato inoltre introdotto recentemente, per la misurazione della PI, un trasduttore a fibre ottiche che può essere inserito nei ventricoli, nello spazio epidurale e nel parenchima cerebrale. È stato accertato che i metodi di registrazione della PI dallo spazio subaracnoideo ed epidurale tendono a sottostimare i livelli di PI molto elevata rispetto ai valori misurati con catetere intraventricolare. In conclusione l’informazione più accurata sul valore della PI rimane la misurazione con catetere intraventricolare, che presenta però lo svantaggio di aumentare il rischio di infezione.

PATOGENESI E FISIOPATOLOGIA

Un aumento della PI si può verificare per il realizzarsi di tutta una serie di evenienze; fra queste le più importanti riguardano l’aumento della produzione del liquido cerebrospinale, l’ostacolo al suo deflusso e riassorbimento, le modificazioni della pressione arteriosa, l’aumento della pressione venosa, gli aumenti di volume dell’encefalo o gli impedimenti meccanici al suo normale incremento di volume durante lo sviluppo. Queste condizioni verranno analizzate separatamente tenendo però presente fin d’ora che tutte quante prima o poi finiscono o per identificarsi o per sfociare in quel multiforme e ancora non ben definito quadro costituito dall’edema cerebrale che, per il patologo, assume il generico significato di saturazione idrica del tessuto nervoso.

1.  AUMENTO DI PRODUZIONE DEL LIQUOR

Come è noto, il liquido cefalorachidiano viene dai plessi corioidei del IV, III ventricolo e dei ventricoli laterali per un processo di secrezione, filtrazione o per una combinazione dei due. Un aumento patologico della produzione di liquor si realizza comunque in rarissime evenienze, da identificare essenzialmente nella presenza di un papilloma dei plessi corioidei o nelle flogosi iperergiche del sistema coriomeningeo (coriomeningiti iperergiche). Queste condizioni col passare del tempo finiscono per provocare un idrocefalo per sfiancamento degli spazi subaracnoidei e dei ventricoli cerebrali.

2. OSTACOLO AL DEFLUSSO DEL LIQUOR
Il liquido cefalorachidiano prodotto dai plessi corioidei e probabilmente negli spazi subaracnoidei per filtrazione attraverso i vasi piali, dai ventricoli laterali passa attraverso i forami di Monro nel terzo ventricolo. Esso si diffonde poi negli spazi subaracnoidei attraverso i forami di Magendie e Luschka; supera le varie cisterne basali, lo spazio interpeduncolare e sale lungo le superfici laterali degli emisferi nella fessura di Silvio.

Un ostacolo al deflusso del liquor può insorgere in qualsiasi punto del percorso delle vie liquorali. Si parlerà di “idrocefalo ostruttivo” se l’ostacolo al deflusso si realizza nel tratto delle vie liquorali che sta fra i ventricoli e gli spazi subaracnoidei e di “idrocefalo comunicante” se l’ostacolo si trova a livello degli spazi subaracnoidei. La distinzione tra idrocefalo comunicante e ostruttivo è stata introdotta da Dandy ed ha causato parecchia confusione. Il concetto di idrocefalo comunicante era basato sul fatto che un colorante iniettato nei ventricoli laterali poteva diffondere nello spazio subaracnoideo lombare, dimostrando che i ventricoli laterali erano in comunicazione con lo spazio subaracnoideo spinale. Ciò non avviene nell’idrocefalo non comunicante (ostruttivo). La distinzione tra idrocefalo comunicante e ostruttivo può essere però fuorviante. In realtà in entrambi è presente un’ostruzione al flusso liquorale: ciò che li differenzia è la sede di tale ostruzione.

L’idrocefalo ostruttivo si produce nel caso di tumori che bloccano il forame di Monro o il III ventricolo, di tumori o processi infiammatori, comprese le loro sequele cicatriziali gliali, che ostruiscono l’acquedotto. A questo proposito è da tenere presente che l’atresia dell’acquedotto può dare un idrocefalo congenito rapidamente fatale, ma più frequentemente le conseguenze dell’atresia non si manifestano che nell’adolescenza. Causa di idrocefalo ostruttivo possono ancora essere tumori del IV ventricolo, sia che nascano in questa struttura sia che la occupino provenendo dal cervelletto, e processi infiammatori interessanti i forami di Magendie e Luschka.

L’idrocefalo comunicante invece è prodotto da processi cronici adesivi meningei post-meningitici i quali ostruiscono gli spazi subaracnoidei, da reazioni meningee iperplastiche conseguenti a meningiti sierose e ad emorragie subaracnoidee, specie alla nascita. In generale, le adesioni più importanti sono quelle che si formano alla base, attorno al mesencefalo, in corrispondenza dell’incisura del tentorio e nello spazio interpeduncolare in quanto queste sedi rappresentano il punto dove il canale liquorale è più stretto e quindi più facilmente ostruibile.

Il termine idrocefalo tensivo o iperteso risulta più appropriato nell’indicare le condizioni determinate da ostacolo al deflusso liquorale, indipendentemente dalla sede di tale ostacolo. A causa dell’ostruzione il liquor si accumula con pressione aumentata, determinando allargamento dei ventricoli soprattutto nei corni frontali ed espansione degli emisferi cerebrali.

3.  DISTURBI DELL’ASSORBIMENTO DEL LIQUOR
Il riassorbimento del liquor si compie principalmente attraverso i villi aracnoidei che penetrano nei laghi venosi connessi con il seno longitudinale superiore. Probabilmente una quota di liquido cefalorachidiano sfugge dalla cavità craniospinale attraverso gli spazi subaracnoidei che circondano i nervi cranici e spinali e una parte ancora viene riassorbita dai villi aracnoidei spinali.   È probabile che un riassorbimento, almeno per certe sostanze, si compia anche nelle stesse strutture che sono deputate alla produzione o modificazione del liquor, specialmente il plesso corioideo e l’ependima. Un difetto di riassorbimento si può verificare nel caso di diffuse infezioni aracnoidee, che compromettono i villi rendendoli impermeabili alla filtrazione, di emorragie subaracnoidee, specie alla nascita, o di una tromboflebite murale del seno longitudinale superiore.

4.  MODIFICAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA
La PI è in equilibrio con la pressione capillare che è influenzata dal tono arteriolare. In condizioni normali aumenti della pressione arteriosa non causano aumenti di pressione del letto capillare e perciò non aumentano la PI. Tuttavia, in particolari condizioni, aumenti della PI possono avere un’origine arteriosa attiva o passiva. Nel primo caso si tratta di una vera vasodilatazione arteriolocapillare: la causa probabilmente più frequente di questa condizione è l’accumulo locale di CO2 di qualsivoglia natura. La IE che si instaura è dovuta all’aumento di volume del compartimento vascolare che causa una congestione cerebrale acuta. Nel secondo caso la capacità di autoregolazione dei vasi cerebrali è perduta e i vasi si lasciano passivamente distendere dalla pressione arteriosa sistemica. Questa condizione si osserva nelle fasi terminali di ipertensione endocranica scompensata, ma anche in corso di crisi di ipertensione arteriosa maligna.

5. AUMENTO DELLA PRESSIONE VENOSA

La pressione venosa è in diretta relazione con la PI: infatti la compressione della vena giugulare causa un immediato aumento della PI che si trasmette allo spazio subaracnoideo lombare a meno che in esso sia presente un blocco (test di Queckenstedt). La pressione venosa può aumentare per un ostacolo al deflusso venoso sia extracranico che intracranico. Nel primo caso, affinché l’evenienza determini un aumento della PI è necessario che l’ostacolo si trovi vicino al cuore e che siano in questo modo rese inefficienti le vie collaterali. Nel secondo caso si tratta in genere di un’occlusione dei seni venosi laterali o longitudinali. Il meccanismo patogenetico conducente all’IE è da identificare sia nell’ostacolato riassorbimento del liquor sia nell’edema cerebrale conseguenza della stasi venosa.  È tuttavia da tenere presente che l’IE stessa, una volta instaurata, agisce comprimendo le vene e aumentando così l’ostacolo circolatorio. Si realizza in tal modo un circolo vizioso che contribuisce all’ingravescenza della sindrome da IE stessa.

6. AUMENTI DI VOLUME DELL’ENCEFALO
È questa una delle cause più importanti dell’IE. Alla base si riconoscono essenzialmente due ordini di fenomeni: i processi occupanti spazio e l’edema cerebrale.   È tuttavia da tenere presente che i primi piuttosto raramente provocano IE solo con il loro volume. Essi agiscono più frequentemente attraverso uno dei meccanismi già ricordati o attraverso l’insorgenza di edema cerebrale.

a. Processi occupanti spazio

I più comuni processi occupanti spazio del sistema nervoso centrale sono: tumori, ematomi, emorragie intraparenchimali, infarti, ascessi e granulomi; molto più rare le cisti aracnoidee o quelle da parassiti e la radionecrosi tardiva. In linea generale l’aumento della PI che si realizza in queste condizioni può essere sostenuto da diversi meccanismi, il cui relativo ruolo dipende dalla sede, dalle dimensioni e dalla velocità di crescita del processo patologico. I processi occupanti spazio possono essere a crescita rapidissima come gli ematomi epidurali, subdurali o intracerebrali; a crescita rapida come metastasi, glioblastomi, medulloblastomi; a crescita lenta come meningiomi o astrocitomi ben differenziati. I tumori a lenta crescita permettono spesso un graduale assestamento e ridistribuzione del contenuto intracranico, cosicché possono raggiungere anche notevoli dimensioni senza provocare IE. In questi casi si devono realizzare condizioni di compenso locali che impediscono che si verifichi un aumento generalizzato della PI. Queste condizioni sono essenzialmente processi di atrofia corticale e della sostanza bianca sottocorticale. I processi occupanti spazio a rapidissimo sviluppo determinano IE essenzialmente per effetto della massa della lesione che si espande. Altri meccanismi attraverso i quali lesioni occupanti spazio possono provocare IE sono: un’ostruzione del sistema ventricolare tale da impedire il deflusso del liquor; un’ostruzione delle vie di riassorbimento e/o del sistema venoso di drenaggio dell’encefalo; un aumento del volume del contenuto intracranico per effetto dell’edema cerebrale.

L’IE da processo occupante spazio si produce patogenenicamente in modo differente a secondo che il processo abbia sede sopra- o sottotentoriale. Nei tumori sopratentoriali che non interferiscono precocemente con le vie di deflusso liquorale si ammette che le venule vengano compresse con risultante stasi venosa e conseguente aumento della pressione capillare; la riduzione del flusso che ne consegue viene compensata almeno parzialmente dalla vasodilatazione arteriolare conseguente all’aumento della tensione locale di CO2. Il flusso ematico viene ristabilito così a spese di una aumentata pressione capillare, ma con lo stesso gradiente pressorio artero-venoso. In definitiva l’aumento della PI non risulta dipendere direttamente dal volume addizionale del tumore, ma dal mantenimento invece di un normale flusso ematico. Nei tumori sottotentoriali maggiore importanza riveste l’ostacolo al deflusso del liquor. Di una certa rilevanza è l’ostruzione della vena di Galeno che può realizzarsi sia per azione diretta del tumore sia per azione a distanza attraverso meccanismi di distorsione o compressione. Sull’efficacia di quest’ultima possibilità si discute ancora. Infatti è stato giustamente rilevato che se un tumore può deformare la vena di Galeno, a maggior ragione potrebbe deformare direttamente l’acquedotto o il III ventricolo.  È comunque un dato certo che l’ostacolo al deflusso venoso provoca una diminuzione dell’assorbimento del liquor e quindi un ulteriore incremento della PI che a sua volta determina un’ulteriore aumento della pressione venosa.   È questo un altro aspetto del circolo vizioso continuo che caratterizza la fisiopatologia della IE.

A quanto è stato detto va aggiunto, a proposito dei tumori cerebrali in particolare, che raramente l’IE rappresenta il primo sintomo. Ciò succede solo per i tumori che ostruiscono precocemente le vie liquorali, quali ad esempio i tumori ventricolari o per quelli che si sviluppano in regioni emisferiche cosiddette mute. In queste zone i tumori possono crescere fino a dare il quadro dell’IE senza provocare con ciò una sintomatologia di focolaio.

b. Edema cerebrale
Si definisce edema cerebrale una condizione caratterizzata da un aumento del volume del tessuto cerebrale per un incremento del suo contenuto di acqua in sede prevalentemente extra- o intra-cellulare. L’edema cerebrale è la causa principale della sindrome da IE ed accompagna diversi processi patologici: tumori, infezioni, traumi ecc., contribuendo alla morbilità ed alla mortalità di molte affezioni neurologiche.
Dal punto di vista morfologico l’elemento più impressionante dell’edema cerebrale è rappresentato dal contrasto fra la gravità delle alterazioni macroscopiche e la scarsità di quelle microscopichex. All’aumento di volume del cervello, all’appiattimento delle circonvoluzioni, alle erniazioni ecc., fanno riscontro infatti un semplice rilassamento del tessuto e l’esistenza di spazi vuoti perivasali e pericellulari o perinucleari. Al microscopio elettronico è stata invece constatata l’esiguità degli spazi intercellulari della sostanza grigia e d’altro canto la grande espansione dell’astroglia perivascolare nell’edema cerebrale. In linea generale l’edema si presenta al microscopio elettronico prevalentemente come intracellulare nella sostanza grigia e prevalentemente extracellulare nella sostanza bianca.

Con Klatzo (1967) si distinguono sulla base del meccanismo patogenetico 2 tipi di edema: vasogenetico, conseguenza di un’alterazione della barriera ematoencefalica (BEE) e citotossico dovuto ad un’azione diretta di noxae agenti sulle cellule parenchimali a BEE intatta. Tale netta distinzione, sebbene valida dal punto di vista teorico, non trova un corrispettivo reale nella pratica clinica: infatti l’edema vasogenetico può determinare a sua volta alterazioni a livello delle cellule parenchimali e l’edema citotossico coinvolgendo le stesse cellule endoteliali può accompagnarsi anch’esso ad un danno della barriera. Negli ultimi anni poi, una maggiore conoscenza dei meccanismi patogenetici che sottendono l’edema cerebrale ha portato ad individuare altri tre tipi di edema: osmotico, interstiziale ed ischemico.

a)Barriera ematoencefalica. Il concetto di BEE è nato dall’osservazione che, mentre i capillari dei tessuti extranervosi sono liberamente permeabili a tutte le molecole più piccole di 30 kd, i capillari del sistema nervoso centrale mostrano una permeabilità molto minore alle stesse molecole. Il Tripan Blu, usato classicamente come esempio non passa dal sangue al parenchima cerebrale in condizioni normali. Per questo stesso motivo, alcuni metaboliti, come ad esempio l’ac. glutammico, possono aumentare nel sangue, ma non nel cervello; d’altra parte, molte sostanze passano assai più rapidamente dal sangue nel fegato o rene che nel cervello. La funzione di barriera è legata essenzialmente al fatto che le giunzioni fra le cellule endoteliali nei capillari cerebrali sono “serrate”. I capillari del tessuto nervoso sono cioè di tipo “continuo”, in quanto endotelio e membrana basale sono ininterrotti; per di più non esiste un vero spazio pericapillare per l’addensarsi sul vaso delle terminazioni dei processi astrocitari. In alcune aree cerebrali tuttavia, come l’area postrema, la pineale, l’eminenza mediana dell’ipotalamo, la linea di inserzione dei plessi corioidei ecc. la BEE non c’è e le giunzioni inter-endoteliali sono di tipo “fenestrato” anziché “continuo”.

La permeabilità alle diverse sostanze non è determinata esclusivamente dalla loro dimensione, ma altre caratteristiche chimiche hanno un ruolo chiave: le molecole liposolubili e apolari, che hanno affinità per componenti della membrana cellulare, passano facilmente la BEE, mentre quelle idrosolubili, fortemente polari, e le proteine non passano. D’altro canto molecole che hanno alta affinità per proteine plasmatiche come ad esempio la bilirubina, non passano la BEE anche se sono liposolubili. Nelle cellule endoteliali e dei capillari cerebrali sono presenti dei carriers specifici che permettono il passaggio della BEE da parte di soluti troppo polari per superare la barriera in virtù delle loro caratteristiche chimiche, ma di cui il tessuto cerebrale ha necessità assoluta, ad esempio il glucosio, la colina, alcuni aminoacidi essenziali e gli ormoni tiroidei. Inoltre proteine possono passare le BEE con il “pinocytotic vescicular transport”, ma questo è più attivo in condizioni patologiche. Alcune sostanze infine non hanno barriera come l’etanolo, e certi gas liposolubili come CO2, O2, N2O, Xe, Kr.

b) Edema vasogenetico. L’edema vasogenetico è tipicamente associato ad un danno della BEE con conseguente aumento della permeabilità a livello dei capillari cerebrali. Ne deriva la fuoriuscita di un fluido derivato dal plasma, costituito essenzialmente da acqua, elettroliti e proteine plasmatiche, che penetra nel tessuto sotto la spinta della pressione arteriosa e che diffonde secondo gradienti di pressione idrostatica ed oncotica che si sviluppano nell’ambito del tessuto stesso. Il fluido fuoriuscito si accumula prevalentemente nella sostanza bianca seguendo le vie di minor resistenza, dissocia le fibre mieliniche occupando lo spazio extracellulare.Nella corteccia l’effetto dell’edema è molto meno vistoso in quanto la sostanza grigia per il fitto intrecciarsi dei processi cellulari offre maggior resistenza all’accumulo ed alla diffusione del fluido stravasato.

Clinicamente l’edema vasogenetico è quello che si trova associato a tumori, traumi cranici, ascessi, malattie vascolari (infarti ed emorragie), encefalopatia ipertensiva. Il danno della BEE con conseguente aumento della sua permeabilità è stato attribuito ad una meccanica apertura delle giunzioni serrate interendoteliali, ma sembra che il fattore più importante nell’aumento della permeabilità sia dovuto ad un incremento del meccanismo di trasporto vescicolare (formazione di vescicole di pinocitosi) a livello delle cellule endoteliali.

Alla patogenesi dell’edema associato alla crescita tumorale, che può essere considerato un tipo peculiare di edema vasogenetico contribuiscono vari processi tra loro correlati:
1) l’alterata permeabilità dei capillari neoformati a livello del tumore in rapporto con l’angiogenesi tumorale: tale abnorme permeabilità ha il suo substrato morfologico nella presenza di giunzioni interendoteliali aperte, fenestrature dell’endotelio, alterazioni della membrana basale con assenza dei processi gliali astrocitari. Tanto maggiore è il grado di malignità del tumore tanto maggiori sono le alterazioni vasali e l’alterazione della BEE;
2) l’incremento della permeabilità vasale nel tessuto peritumorale ad opera di fattori diffusibili prodotti dalle cellule tumorali stesse, prostaglandine E2 (PGE2) e trombossano B2. L’azione di questi fattori sulla permeabilità vasale sembra essere inibita dal desametazone e ciò potrebbe rappresentare un motivo dell’efficacia del trattamento steroideo nell’edema associato a tumori;
3) meccanismi immunologici non ancora ben conosciuti connessi con la produzione di immunomodulatori quali PGE2 e fattori simili all’interleukina-1 responsabili di effetti citotossici e di alterazioni della permeabilità vasale;
4) alterazioni della permeabilità vasale sono poi riconducibili a processi di tipo infiammatorio alla periferia del tumore che comportano la liberazione di enzimi citotossici dai granuli dei polimorfonucleati, di fattori attivanti le piastrine con conseguente liberazione di sostanze vasoattive, la sintesi di eicosanoidi e di leucotrieni ed infine la produzione di radicali liberi.

c)Edema citotossico. Esso non è dovuto ad un danno primitivo della BEE, ma è la conseguenza del danno prodotto da agenti nocivi sulle cellule del parenchima nervoso (neuroni, cellule gliali), le quali si rigonfiano con concomitante riduzione dello spazio extracellulare. Alla base vi è un disturbo della pompa del Na+.   È noto che la ATPasi, Na+ e K+ attivata, Mg++ dipendente, inibita dall’ouabaina, detta ATPasi di membrana, idrolizza il fosfato terminale dell’ATP e catalizza lo scambio ADP-ATP con riflessi sul trasporto di Na+ e K+. L’astroglia è la sede principale di questi eventi: essa avrebbe la funzione di assorbire il K+ immesso negli spazi extra-cellulari dall’attività dei neuroni. La pompa ovviamente deve immettere K+ nella cellula ed espellere Na+. In caso di difettoso funzionamento della pompa del Na+, si verifica un accumulo di tale ione all’interno delle cellule, con conseguente richiamo di acqua e rigonfiamento cellulare. Anche le cellule endoteliali possono essere sede di tale meccanismo, poiché devono mantenere il gradiente ionico fra plasma e cervello, il K+ è 40 volte più concentrato nel plasma che negli spazi extracellulari del cervello.   È evidente che debba esistere un meccanismo che regola lo scambio d’acqua fra plasma e cervello. La barriera dell’acqua si trova a livello capillare ed è sotto il controllo adrenergico, localizzato probabilmente nel locus coeruleus. Nell’edema citotossico vi è quindi un doppio disturbo: uno spostamento di acqua dal compartimento extra – a quello intracellulare ed un difetto di regolazione dell’acqua fra plasma e cervello (Klatzo, 1979; Hirano e Llena, 1983). Nell’edema citotossico non vi è passaggio di proteine. Certe sostanze lo producono in modo tipico, come il TET (Trietiltin), l’esadorofene, l’idrazide dell’ac. isonicotinico. Al microscopio elettronico la BEE risulta intatta. L’edema citotossico si verifica nell’ipossia che consegue ad esempio ad arresto cardiaco o nell’asfissia; a causa del cedimento della pompa del Na+ ATP-dipendente si verifica un accumulo di Na+ nel compartimento intracellulare con conseguente richiamo di acqua dallo spazio extracellulare nel tentativo di mantenere l’equilibrio osmotico.

d) Edema osmotico. L’edema osmotico compare quando un gradiente osmotico si crea tra il plasma ed il tessuto cerebrale. Ciò si verifica tipicamente in condizioni di ipo-osmolarità plasmatica, come nella intossicazione da acqua, nella “sindrome da disequilibrium” che si verifica un caso di emodialisi eccessivamente rapida, o ancora in caso di un’insufficiente secrezione di ADH. L’edema che si costituisce, rappresentato da acqua senza elettroliti, fluisce dal plasma nello spazio intracellulare secondo un gradiente osmotico, interessando gli elementi intraparenchimali in toto. Si tratta di un fenomeno acuto e transitorio, infatti in seguito il tessuto cerebrale cede elettroliti anziché assumere acqua nel tentativo di mantenere l’equilibrio osmotico.

e) Edema interstiziale o idrocefalico. Si tratta di una condizione che si accompagna alla presenza di un idrocefalo ostruttivo ed è dovuto ad un’abnorme passaggio trans-ependimale di liquor attraverso le pareti ventricolari con conseguente accumulo di fluido nella sostanza bianca periventricolare. In tale condizione la BEE risulta integra. Caratteristica è la rapida risoluzione dell’edema interstiziale dopo derivazione liquorale.

f) Edema ischemico. I meccanismi patogenetici dell’edema associato ad ischemia cerebrale sono complessi. Inizialmente l’edema è di tipo citotossico, interessa solo la corteccia e consiste in un accumulo di Na+ e di acqua nel compartimento intracellulare con rigonfiamento degli elementi cellulari (neuroni, glia, cellule endoteliali) e riduzione dello spazio extracellulare. La BEE rimane integra nelle fasi iniziali dell’ischemia. Queste modificazioni sono reversibili quando l’ischemia non è prolungata e la ricircolazione è completa. Una prolungata ischemia ed una scarsa ricircolazione determinano invece un danno permanente con alterazione della BEE a cui consegue lo sviluppo incontrollato di un edema vasogenetico. Recentemente è stato osservato che il danno ischemico sulla BEE segue un andamento bifasico, con un precoce aumento della permeabilità (che avviene generalmente entro le prime 2 ore dopo l’insulto ischemico) seguito da una seconda fase che avviene dopo 4-6 ore. Una possibile spiegazione di questo fatto è che il rigonfiamento dei processi astrocitari (dovuto all’edema intracellulare) temporaneamente impedisce la fuoriuscita di liquido e soluti nello spazio extracellulare e che nel contempo, riducendo il lume vasale, aggrava il danno ischemico tessutale. Quando il rigonfiamento dei processi astrocitari si risolve, si manifesta l’alterazione della permeabilità della BEE con fuoriuscita di liquido e proteine sieriche che caratterizza l’edema vasogenetico. I meccanismi biochimici che accompagnano l’ischemia contribuiscono a determinare il danno della BEE e l’edema. In particolare l’ingresso di Ca++ nel compartimento intracellulare ed il suo sequestro a livello mitocondriale avviene a spese della fosforilazione ossidativa e favorisce la produzione da un lato di radicali liberi e dall’altro l’attivazione di fosfolipasi di membrana con liberazione di acido arachidonico e con la conseguente produzione a cascata di prostacicline, trombossano e leucotrieni che a loro volta propagano il danno ischemico e l’edema. Sebbene la seconda fase dell’edema ischemico ricordi l’edema vasogenetico, esso caratteristicamente non risponde alla terapia steroidea. Questa situazione ha stimolato la ricerca per altri tipi di trattamento quali farmaci anti-infiammatori non steroidei, antagonisti dei canali del Ca++, farmaci che neutralizzano gli effetti dei radicali liberi.